Rubriche

Tutto è questione di attenzione, speranza di chi è perso nel telefonino

Lisa Ginzburg venerdì 31 maggio 2024
Attenzione è tutto. Tutto è questione di attenzione. Di attenzione si compone il rapporto con noi stessi e con gli altri – molto, ma molto di più di quanto si sia usi pensare, e comunicare. E attenzione, anche, significa attesa. Perché esercitando l’attenzione grazie a un aderire completamente al momento presente, concentrandosi sull’istante e lasciando da parte ogni altra distrazione, noi ci collochiamo e ci disponiamo in una condizione di attesa. Aspettiamo il momento giusto (che esiste, per quasi ogni cosa) e nell’aspettarlo, intanto esercitiamo l’attenzione. Un’attenzione che fa bene al nostro cervello e al nostro spirito, perché li purifica, liberandoli di inutili ingombri. Simone Weil spiega questo in modo nitido, e altissimo, nel libro Attenzione e preghiera (Meltemi, cura e traduzione di Marco Dotti, pagine 140, euro 12,00). Attenzione e attesa: di questo si compone l’intero suo ragionamento, in un testo breve che è anche una sorta di prontuario per il tempo presente. Perché con straordinarie lucidità e preveggenza, Simone Weil insiste su come il nesso tra attenzione e attesa sia tra le altre cose insegnamento primario da impartire agli adolescenti. Insegnare loro a esercitare l’attenzione, essendo consapevoli che è così che più e meglio intanto potranno coltivare attesa, fiducia. Speranza. Già: ai ragazzi soprattutto andrebbe insegnato il potere purificatore della totale attenzione e concentrazione sul momento presente. Quei ragazzi completamente dipendenti da smartphone e comunicazione e informazione compulsive. Le cui menti di continuo divagano, ansiose, intermittenti, che si deconcentrano nel mentre sommano e assemblano dati e informazioni facendo grande fatica ad approfondire qualsiasi cosa. Trovare una strada per dire a quei ragazzi come nel “deficit” di attenzione l’intelligenza si svilisce, e l’anima con lei. Questo anche sarebbe giusto comunicare, trasmettere. Che se l’anima lei pure si impoverisce, è perché – di nuovo è Simone Weil a spiegarlo con straordinaria chiarezza mentale – è il rapporto stesso con il mondo a necessitare di stesso grado di attenzione massima. Coltivare grande attenzione. Niente più e niente meno. Con attenzione concentrarsi su di sé e ascoltarsi, con attenzione sapere all’opposto anche dimenticarsi di sé stessi e spostare l’attenzione sugli altri. Ancora Simone Weil: «La pienezza dell’amore per il prossimo consiste semplicemente nel saper chiedere: “Qual è la tua ferita? Qual è il tuo tormento?” (...). Essere capaci di “uno sguardo attento, in cui l’anima si svuota del tutto del proprio contenuto per accogliere in sé l’essere che guarda così com’è, in tutta la sua verità”». Leggere, rileggere Simone Weil e la sua meditazione così eccezionalmente attuale sul valore dell’attenzione. E di attenzione parlare, e praticarla, e con caparbia insistenza tentare di dire ai più giovani quanto sia l’esercizio dell’attenzione a cambiare la sostanza del tempo, dei rapporti, della vita stessa. Insegniamo l’attenzione. Pratichiamola noi per primi. Così necessario, urgente. Anche salvifico. © riproduzione riservata