Tutto è grazia
Ho una mente insofferente. Quando penso a quali libri sceglierei da mettere nello zaino per un eventuale viaggio solitario sulla luna, mi ritrovo a mani vuote. Eppure un chiodo fisso ce l'ho: mi riferisco a «Diario di un curato di campagna», di George Bernanos. Il giovane prete sta morendo. La vita gli è sempre stata avversa, anche ora in una casa altra inospitale. Ha il cancro allo stomaco, è perforato dal dolore, dopo che da tempo si alimentava solo con qualche frammento di pane secco intinto nel vino. Lui che era nato figlio di alcoolisti, naufrago audace sulla costa del Nazareno. Il curato è caduto sul pavimento e da lì, dall'altezza da cui un cane accucciato guarderebbe, scruta tra le gambe del tavolo, delle sedie e i piedi dei mobili. Ecco, gli amministra l'ultimo sacramento, un prete spretato, un poveretto che però essendo "sacerdos in aeternum", non ha il coraggio di sottrarsi al suo divinissimo dovere. La scena è pietosamente miserabile, il sipario ultimo sta calando, si chiude una giovane vita che tutti avrebbero voluto evitarsi. L'agonizzante mormora: «Tutto è grazia». Questa contraddizione, così sciagurata ed inaccettabile, è come una coltellata tremenda, vibrata al minuscolo buonsenso e al comportamento comune: la grazia erompe dalla disgrazia.