Una foto, mille parole. Turismo di massa e tipi da spiaggia, il dolceamaro di Parr
Da “Small World” di Martin Parr: La torre pendente, Pisa, Italia, 1990
Nel 1990 i social non c’erano ancora, ma il turismo di massa sì. E fotografarsi giocando con i monumenti era un esercizio assai curioso già allora. Ed eccoli i gesti assurdi dei visitatori sul prato davanti alla Torre pendente di Pisa: chi la tiene in mano, chi fa finta di sorreggerla, come se partecipassero a uno spettacolo o a un corso collettivo di arti marziali. I destinatari e l’uso delle foto erano diversi, ma il senso di quegli scatti forse è lo stesso. Nello Small World del moderno viaggiatore c’è «un turista medio che siamo tutti noi», e seguendo le nostre orme il fotografo britannico Martin Parr mette a nudo «la grande farsa del viaggio, che è per la maggior parte delle persone, un’attività di svago diventata possibile solo di recente, grazie agli aerei di grandi dimensioni e ai voli low cost».
Con la sua analisi per immagini sul turismo, Parr ci mette davanti a uno specchio particolarmente crudele. Standardizzato fino all’assurdo, «il mondo del turismo assomiglia più a un sogno annacquato e omogeneizzato, il cui ultimo modello potrebbe essere Las Vegas». Dalla Torre di Pisa alla vita da spiaggia, di fronte alle foto “comiche” e pungenti di Martin Parr la realtà e il grottesco si fondono. L’acuto osservatore britannico, membro di Magnum Photos, continua a farci riflettere, con il sorriso, su quello che siamo. Su come viviamo. Su usi e costumi che cambiano. Su comportamenti e tendenze. Sulle storture e gli eccessi che a volte ci concediamo. Sull’eccentrico che sfocia palesemente nel cafonal. «Si può imparare di più sul Paese in cui si vive da un comico che dalla conferenza di un sociologo», dice. Ma nel suo approccio umoristico o comico, in realtà c’è molto di antropologico. C’è molta analisi della realtà. «Sono un fotografo documentarista» precisa Martin Parr presentando la sua mostra a Milano, intitolata Short & sweet (curata direttamente dal fotografo con la collaborazione di Magnum Photos), fino al 30 giugno al Mudec, prodotta da 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore, promossa dal Comune di Milano- Cultura e sostenuta da Fondazione Deloitte.
Sessanta fotografie da lui appositamente selezionate per questo progetto e presentate insieme al corpus di immagini della serie Common Sense che lo ha reso famoso. Kitsch di strada e in spiaggia. «Sul suolo del Regno Unito è impossibile trovarsi a più di 100 chilometri dal mare. Con un litorale così esteso, non sorprende che in Gran Bretagna le foto in spiaggia rappresentino una tradizione ben consolidata. Se negli Stati Uniti è nata la street photography, nel Regno Unito c’è… la spiaggia. E forse l’esito più naturale è la beach photography. Sulle spiagge britanniche le persone si rilassano, si sentono sé stesse e fanno sfoggio di tutti quei segnali del comportamento vagamente eccentrico che viene associato ai britannici». Il risultato è una divertente carrellata di “tipi” e “gente” da spiaggia: una pancia da Super Tele a Benidorm, in Spagna; un patriottico bagnante con un costume-slip con bandiera americana a Miami, in Florida; i selfie in mare di Chowpatty Beach a Mumbai, India; l’allegro caos di una spiaggia di Sorrento, Napoli.
La carriera internazionale del fotografo 71enne è cominciata con il libro del 1986, The Last Resort (titolo che suona più o meno come “l’ultima spiaggia”), che ritraeva la decadenza delle spiagge di New Brighton, località turistica vicino a Liverpool: «Puoi capire infinite cose di un paese guardando le sue spiagge: attraverso le diverse culture, la spiaggia è quel raro spazio pubblico in cui si può trarre godimento dai rituali e dalle tradizioni spesso associate ai cliché nazionali più comuni di quel paese».
Se il suo guardo è immediatamente riconoscibile, come una lente di ingrandimento dai colori vivaci che offre una prospettiva unica e spesso provocatoria della società contemporanea, nella mostra milanese di Martin Parr si possono apprezzare, all’inizio del percorso, anche scatti meno noti, “in bianco e nero”: la serie The Non-Conformists, immagini scattate dal 1975 al 1980 da un inedito, giovane e ispirato Parr, appena terminata la scuola d’arte. Insieme alla sua compagna (e futura moglie) Susie Mitchell, Parr si muove della metropoli londinese verso le periferie dello Yorkshire: per cinque anni, la coppia documenta quotidianamente gli eventi a cui assiste, in particolare quelli dei Non Conformisti, dal nome delle cappelle metodiste e battiste che stavano diventando numerose nella zona. Martin fotografa sia l'ambiente circostante che le vite dei colletti blu di operai, minatori, agricoltori, devoti, guardiacaccia, allevatori di piccioni e “mariti presi per il naso”, realizzando un documento storico e toccante che definisce il carattere ferocemente indipendente dell’Inghilterra settentrionale dall’anglicismo di Stato. Sempre in bianco e nero il progetto Bad Weather, realizzato tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, e pubblicato nel 1982. L’idea di Parr era quella di creare un lavoro incentrato su un’ossessione britannica: il tempo atmosferico. Con una fotocamera subacquea, Parr si getta sotto le tipiche condizioni meteorologiche inglesi: acquazzoni, pioggerelline, tempeste di neve documentate rigorosamente tra Inghilterra e Irlanda. «Di solito ti viene detto di fotografare solo quando la luce è buona e c’è il sole – afferma Parr - e mi piaceva l'idea di scattare fotografie solo in caso di maltempo, come modo per sovvertire le regole tradizionali».
Poi largo al colore. L’inconfondibile colore di Parr. Le sue foto bizzarre e provocatorie. Le sue spiagge, con tanto di sedie a sdraio, in una sorta di spiaggia da museo per ascoltarlo in una video intervista "sotto l'ombrellone". E riflettere sul consumo di massa e la cultura dello spreco, davanti a un muro di 200 foto dell’installazione Common Sense. Un muro di stonature e assurdità, il cattivo gusto e la volgarità contemporanea. Foto che strappano un sorriso. Un po’ amaro. Al punto da pensare che forse siamo ancora in tempo per… cambiare spiaggia.
Una foto e 957 parole.