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Troppe dirette video sempre meno seguite

Gigio Rancilio venerdì 5 marzo 2021

L'abbiamo ben chiaro tutti: in quest'ultimo anno, per colpa della pandemia, in Rete si sono moltiplicati i video incontri. Ciò che forse ci è sfuggito è che non sono (e non devono essere) tutti uguali. Perché un conto è un incontro tra amici o una piccola riunione aziendale o un consiglio pastorale e un altro sono le dirette (su Facebook, YouTube, Zoom, Teams, Cisco eccetera poco importa) destinate a chiunque. Mentre scrivo ne ho appena guardata una su YouTube. C'erano tre relatori e 18 spettatori. Come se ognuno dei relatori avesse portato tre familiari e tre amici.
Passo su ClubHouse, il nuovo social della voce. In una stanza (si chiamano così) parlano di attualità. Ci sono tre organizzatori e 40 partecipanti. Nel frattempo Mara Maionchi e suo marito Alberto Salerno, famoso paroliere, in diretta video su Facebook commentano la seconda serata del Festival di Sanremo. Risultato di un'ora e 8 minuti di diretta: 369 visualizzazioni (comprese quelle di pochi secondi). Sono solo alcuni dei mille esempi che potrei fare, ma anche se cambiassi argomento e nome dei relatori il risultato rimarrebbe sostanzialmente uguale. Che si parli di fede o di libri, di Sanremo o di politica estera, ormai la maggior parte delle dirette digitali sono seguite da poche persone. Anche se molti incontri del passato «in presenza» non facevano numeri maggiori, l'impressione che se ne ricava è che, quasi senza accorgercene, ci stiamo chiudendo in spazi sempre più piccoli. Ci stiamo abituando a un modello comunicativo «salottiero» che avrà delle conseguenze anche sugli incontri che faremo una volta tornati «in presenza».
C'è anche un altro aspetto che dovrebbe farci riflettere. Troppi incontri digitali vengono organizzati con le stesse modalità comunicative (un po' logore) con le quali si organizzavano certe serate nei circoli culturali (e in tutti gli altri luoghi, parrocchie comprese, che ospitavano e ospitano questo tipo di incontri). Si fa una locandina e la si posta sui social (o la si manda agli amici via WhatsApp), come un tempo la si appendeva in bacheca. Tutto qui.
Per non parlare del fatto che, in quest'anno di pandemia, molti relatori si sono talmente abituati alle dirette video casalinghe da non fare, in molti casi, più nessuno sforzo per proporsi al meglio al pubblico. E quelli che pure scelgono l'inquadratura più efficace (di solito di una libreria colma di volumi) non curano minimamente l'illuminazione della stanza, la qualità dell'audio e – cosa ben più grave – la loro «postura» mentre intervengono gli altri relatori. C'è chi beve il tè, chi si accascia sulla scrivania, chi si stravacca sulla poltrona, chi si gratta la testa e chi arriva a fare facce strane e persino a sbadigliare, dimenticando di essere costantemente «in onda» e quindi visibile a tutti. Ma la cosa più grave credo sia un'altra: la maggior parte dei moderatori e dei relatori degli incontri in diretta video parlano tra di loro e non si rivolgono mai al pubblico. Non lo salutano, non lo ringraziano, non cercano di coinvolgerlo e nemmeno (a volte) di interessarlo. È come se questi momenti non si svolgessero online per tutti ma fossero delle chiacchierate private tra poche persone.
Da quando «andare in onda» su Facebook, Instagram, YouTube e ClubHouse è diventato semplicissimo ci siamo dimenticati che devono esserci delle motivazioni forti perché uno spettatore spenda del tempo per seguire una diretta. Per ascoltarci o guardarci sta infatti sottraendo tempo a decine di altre proposte anche digitali: da un video su YouTube a una serie su Netflix o Prime Video o Disney+, passando per una canzone su Spotify o l'articolo su un sito. Noi possiamo anche andare avanti per la nostra strada video e non sforzarci per cercare di conquistare il pubblico, basta che poi non ci lamentiamo se la nostra platea è di poche decine di persone.