«Mai più si pensava che abbandonando la propria terra natia si avesse a giungere in luoghi ove vigono le stesse leggi e comanda lo stesso monarca da essere trattati peggio degli schiavi e ridotti persino a morire sotto le fatiche e la fame»: parole che fanno parte di una lunga lettera firmata da trentini della Bosnia e diretta al loro sovrano Francesco Giuseppe imperatore d'Austria Ungheria. Avevano venduto nel 1883 i loro pochi averi delle valli del trentino distrutte dalle inondazioni e viaggiato verso un territorio offerto loro per migliorare le condizioni delle proprie famiglie. Non sapevano di essere diventati parte di una partita giocata dalle nazioni europee quando l'imperatore, per controllare la Bosnia Erzegovina, aveva deciso di mandarvi popolazioni cattoliche e sudditi fedeli allo scopo di impedire che i turchi, cacciati da quei territori, potessero riprenderli. Sollecitate con promesse di vita migliore le popolazioni più povere dell'impero: rumeni, ruteni, ungheresi, sloveni e trentini partirono non immaginando a quale fine sarebbero andati incontro. Una curiosità storica ha spinto Paolo Perotto (Nella terra dell'airone) a raccogliere documenti, a cercare ricordi negli archivi delle parrocchie, dei comuni, delle diocesi e dei Consolati per ridare vita a una vicenda dimenticata dal nostro Paese. Trentini, gente coraggiosa che aveva saputo sopravvivere in condizioni spaventose in una terra che non li aveva accettati, fino a riprendere dopo alcuni anni, con passo nuovo, il trasferimento ad Ardea. La richiesta del governo italiano alla Iugoslavia che aveva ereditato dalla guerra le zone occupate dai nostri connazionali non ebbe strada facile. Finalmente nel 1940 una firma tra il Ministro degli esteri del regno di Iugoslavia e la delegazione del regno d'Italia apre di nuovo la vie del ritorno alla propria patria di questi coraggiosi uomini e donne pronti a un nuovo inizio di vita. Un tempo non facile perché invaso da un'altra guerra che sarebbe passata sulle terre di Aprilia, Ardea, Pomezia, distruggendo le prime coltivazioni e le nuove case.Un anziano descrivendo gli anni '50 diceva che finalmente si cominciava a star bene perché «un adulto poteva ormai mangiare un uovo intero da solo»! Quando viaggiamo con le nostre macchine attraverso i bei viali di eucalipto che ombreggiano la campagna pontina dobbiamo essere grati a questa gente che ci ha lasciato l'esempio di come sia possibile credere e conquistare il proprio futuro senza mai perdere unità e speranza.