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Tre mosse per preparare (con orgoglio) l'azzurro vincente

Mauro Berruto mercoledì 22 novembre 2017
È dal 29 luglio 2015, giorno delle mie dimissioni dal ruolo di Ct della Nazionale maschile di pallavolo, in seguito a una non negoziabile richiesta di rispetto delle regole e delle persone, che mi chiedevo se ci fosse qualcosa in grado di far accelerare il mio battito cardiaco, come succedeva ai tempi in cui andavo in panchina con la squadra azzurra. L'ho trovato lunedì, quando sono rientrato per la prima volta da allora, nel Salone d'Onore del Coni, invitato come relatore agli “Stati Generali dello Sport” voluti dal presidente Giovanni Malagò. D'altronde il cuore è un muscolo involontario al quale, come noto, non si comanda. Gli Stati Generali sono un momento di pausa, di riflessione trasversale per tecnici, atleti, dirigenti del mondo sportivo. Un misterioso e abilissimo sceneggiatore ha voluto che, proprio mentre nel palazzo del Coni era riunito il gotha dello sport italiano alla presenza del ministro Luca Lotti, a pochi minuti di distanza arrivasse al suo ultimo atto lo psicodramma calcistico che si è concluso (almeno per ora) con le dimissioni del presidente della Figc Carlo Tavecchio. Mancano 80 giorni all'inizio dei Giochi Olimpici di PyeongChang, poco meno di tre anni a quelli di Tokyo e il presidente del Coni ha voluto una riflessione collettiva per organizzare al meglio il futuro.
Personalmente credo che siano tre le azioni fondamentali per dare forma al futuro degli sport di squadra. La prima mossa è legata a una parola che ha una meravigliosa etimologia: desiderio. Questo temine di origine latina è composto dalla preposizione de che indica lontananza, privazione e sidera, le stelle. Il primo a utilizzarlo fu Giulio Cesare nel De Bello Gallico, che definiva desiderantes i centurioni che, sopravvissuti alla battaglia, cercavano di scorgere nel disegno delle stelle un presagio che indicasse il ritorno dei proprio compagni, vivi anch'essi, all'accampamento. Quando, tuttavia, arrivavano le nuvole, le stelle scomparivano e proprio quella mancanza generava un sentimento fortissimo, una bramosia. Occorre oggi rigenerare (forse proprio per mancanza?) il desiderio dei migliori atleti di vestire e sposare senza condizioni la maglia azzurra. So che può sembrare pazzesco, scontato, purtroppo così non è. Non solo ci sono atleti che dicono “no” o “sì, ma...” alle convocazioni in Azzurro, ma (peggio) continuiamo a leggere dichiarazioni di dirigenti di club o di Leghe che, nei fatti, giustificano e in qualche modo invogliano i propri atleti a rifiutare la Nazionale.
Non ho memoria storica, almeno in Italia, di grandi esplosioni di praticanti, di attenzioni mediatiche, di passioni e perfino di risorse economiche dopo exploit di club, mentre ho molti esempi di successi di squadre nazionali che hanno generato exploit di club, e contribuito a creare campionati migliori dal punto di vista sia tecnico sia patrimoniale. Rigenerare questo desiderio della maglia azzurra è un compito enorme che coinvolge tutti e va affidato, senza dubbio, a soggetti ben precisi. Eccoci, così, alla seconda mossa: restituire dignità, rispetto, centralità ai tecnici, quelli che la scherma, meraviglioso esempio di realtà che vince da sempre, chiama i Maestri. Esattamente come nel mondo della scuola, anche nello sport i problemi sono iniziati quando i Maestri hanno incominciato a perdere la dignità del loro ruolo. Le cronache recenti, il modo di cercare sempre e solo un colpevole negli insuccessi, lo sparare sul pianista pensando di risolvere così il problema, ha generato e genera mostruosità. Restituire voce e importanza ai tecnici (ne abbiamo in tutti gli sport di così bravi che continuiamo a esportarli all'estero) è una priorità assoluta. La terza mossa riguarda la filiera di produzione dei campioni. È una conseguenza diretta delle prime due, non ne ho dubbio, ma con un fattore decisivo, sul quale anche dal punto legislativo non si può più non intervenire: il ruolo della scuola nell'insegnare la cultura sportiva. Certo quest'ultima azione necessita di un tempo lungo per portare risultati, ma non si può davvero rimandare ulteriormente. Un punto di partenza? Si dia priorità assoluta alla scuola primaria, che è quella che dovrebbe insegnare passione e desiderio allo studio, alla Matematica, all'Italiano, all'Inglese, alla Musica e, perbacco, anche allo Sport. Io il Ct l'ho fatto così, seguendo questi tre princìpi. Sempre. E vincere, a Londra 2012, una delle 692 medaglie conquistate dal nostro Paese nella storia dei Giochi Olimpici è stato e resta l'onore più grande della mia vita.