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Trasformare il pomodoro è un affare serio La filiera italiana chiede regole condivise

Andrea Zaghi domenica 8 dicembre 2024
I
l pomodoro italiano deve fare i conti con una campagna difficile ma, soprattutto, con un clima avverso e una concorrenza sleale sempre più importante. Il quadro, in altri termini, non è dei più rassicuranti per quello che viene definito “oro rosso” nazionale. Se ne è parlato qualche giorno fa all’assemblea di Anicav, l’associazione che raccoglie i grandi trasformatori del prodotto. Al di là dei numeri dell’ultima campagna di produzione, il tema è di quelli strategici per il futuro della coltivazione e della trasformazione del pomodoro in Italia. Come si è detto, i grandi problemi sono di tre tipi: l’incognita del clima, lo squilibrio del prezzo della materia prima rispetto alla concorrenza di altri trasformatori e, infine, l’imperversare della concorrenza sleale che inquina il mercato. Da qui una serie di proposte che hanno più il tono di richieste. Prima di tutto, regole chiare sulla commercializzazione dei derivati di pomodoro in tutta Europa. Nel mirino di Anicav non sono tanto i paesi che producono correttamente, ma quelli che immettono in commercio notevoli masse di prodotto senza rispettare alcuna regola di sostenibilità ambientale e sociale. Un tema delicato, quello della concorrenza e delle regole. Che tocca anche i consumatori finali. È di pochi giorni fa, ad esempio, una inchiesta giornalistica apparsa in Gran Bretagna che ha messo in dubbio alcuni derivati di pomodoro. Una campagna, quella inglese, che non eccelle in quanto a correttezza scientifica ma che, stando alle riflessioni di Anicav, deve far pensare circa la vulnerabilità del prodotto e la necessità di imporre norme più severe di commercio. Regole in primo piano, quindi, che si traducono nell’applicazione – anche per questo comparto del principio di reciprocità negli scambi – ma anche nell’applicazione in tutta Europa della norma, già in vigore in Italia, in base alla quale la passata deve essere ottenuta solo da pomodoro fresco, con obbligo di indicazione dello Stato e, se possibile, della zona dove il pomodoro è stato coltivato. Seguono poi la necessità di metodi produttivi più efficienti, di un miglioramento genetico più efficace e di una gestione dell’acqua migliore. La posta in gioco è alta. Se l’ultima campagna di trasformazione si è chiusa con 5,3 milioni di tonnellate, in leggera riduzione (-2,5%) rispetto al
2023, il nostro è comunque il terzo paese produttore al mondo dopo la Cina e gli Usa. Detto in termini economici, il valore della trasformazione in Italia arriva ai 5,5 miliardi di euro. Il pomodoro italiano trasformato è quindi davvero una sorta di “tesoro” agroalimentare. Soprattutto se si pensa che alla riduzione, seppur contenuta, dei consumi interni, è corrisposta una crescita delle esportazioni che, nel primo semestre 2024, sono aumentate, rispetto allo stesso periodo del 2023, sia in volume (+9%) che in valore (+8,9%). © riproduzione riservata