La casa museo di Anna Frank, al numero 263 di Prinsengracht, Amsterdam, è uno dei luoghi più rappresentativi del carattere europeo, nella sua volontà di ripristino degli equilibri distrutti. In tale prospettiva “la fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura”, secondo l’immagine di Primo Levi, resta parte integrante della nostra identità. Anche se rifiutassimo il mito di Anne Frank, come fece nel 1960 Bruno Bettelheim, in un contestato articolo su “Harper’s”, compreso in Sopravvivere, nel quale rimproverò a Otto Frank, il padre della giovane reclusa, la mancata resistenza armata contro i nazisti e a noi tutti l’indulgenza sentimentale di chi, di fronte alla barbarie, si ritira in un mondo privato, intimistico e gentile, dovremmo comunque sapere che Anne, entrata a far parte dell’immaginario contemporaneo, può orientare certe emozioni collettive, plasmare il pensiero di innumerevoli persone, proprio come una di quelle divinità mitologiche greco-romane a cui lei, che odiava la matematica, era tanto affezionata. Per questa ragione, da insegnante prima di tutto, quando scesi dal tram numero 13 alla fermata di Westermarkt, avviandomi pensieroso verso la casa fra i canali, mi tornarono in mente i versi di Vittorio Sereni: «L’amore è di dopo, è dei figli / ed è più grande. Impara».
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