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Tra virtù, vizi e rasoi

Pier Giorgio Liverani domenica 1 novembre 2009
Da quando maggio-
ranza e minoranza politiche compartecipano abbastanza equamente ai drammi pruriginosi della categoria "vizi privati e pubbliche virtù", a sinistra si è avviato un certo ripensamento, che si spera costituisca anche un indizio di pentimento per aver nobilitato il guardonismo al livello di strumento dell'agone politico. Ìl Manifesto, per esempio, dedica (giovedì 29) quasi un'intera pagina a due saggi in materia di sesso e politica. Il primo, di Marco D'Eramo, «analista della modernità e postmodernità capitalista» (così lo definisce Il Foglio di venerdì 30), sostiene che «a frugare nei panni sporchi dei potenti ci infanghiamo tutti». Giusto, però D'Eramo suggerisce subito un "ma" abbastanza assolutorio e poco accettabile. Sembra disposto, infatti, ad accettare la formula tutta europea (e non americana) dei «vizi privati e pubbliche virtù» giustificandola con il cosiddetto "rasoio di Occam". vale a dire il principio del filosofo francescano inglese Guglielmo di Occam (XIV sec.), secondo cui, tra molteplici cause e concetti, si deve scegliere ciò che spiega in modo più semplice l'evento o il problema, principio che D'Eramo traduce con un «non moltiplicare gli universali oltre il necessario» (in questo caso vizi e virtù). Traduzione che gli consente di accontentarsi della formula citata e di preferirla al suo possibile inverso: «virtù private e vizi pubblici». Tagliando il nodo occamiano con il medesimo rasoio, penso che un vero politico serio necessiti innanzitutto di coerenza e non debba e non possa vivere altre che "virtù private e pubbliche". Ogni scelta o diversità tra pubblico e privato è inaccettabile compromesso. Il secondo saggio, quello di Mariuccia Ciotta, condirettore del Manifesto, impastato di nostalgie sessantottesche e femminismo moderno, auspica, con palesi riferimenti di attualità, «un altro mondo, dove i corpi non sono in vendita» e conclude: «La vita, sulla quale il biopotere ha messo le mani [...] costituisce la materia prima di cambiamento» verso «un altro mondo dove i corpi non sono in vendita». Giusto anche questo, ma con un altro discutibile "ma": il fatto che la bioetica sia divenuta materia e campo della politica, non giustifica l'attuale biopotere, ma esige un "bioservizio", in cui dovrebbero confluire, oltre alla politica, anche la scienza, la tecnologia e la vita pubblica e privata. Non c'è una gran differenza tra l'usare per la propria soddisfazione (fisica o politica o scientifica o affettiva che sia) un «corpo» di adulto (uso il linguaggio della Ciotta) o un corpicino che va formandosi e che, di fatto, viene venduto (ceduto, adoperato, trasformato, ucciso) per finalità non sue.

CONVERGENZE
Ripensamenti. Luigi Manconi, sociologo, l'Unità (venerdì 30): certi atti dei politici «possono essere assai riprovevoli, ma non sono il Male», bensì «libere opzioni». Stesso giorno, Alessandro Cecchi Paone, conduttore di Mediaset e «libertino dichiarato», Il Giornale di Feltri: «I bacchettoni cattocomunisti minacciano l'Italia libertaria [...] Povero Marrazzo mandato in convento da quel cipiglioso inquisitore senza pietà che si chiama moralismo, cupo custode della peggior tradizione sessuofobica cattocomunista». Polemica, simpatia o mascherate convergenze (im)morali?