L'agricoltura corre ancora una volta più degli altri comparti dell'economia. Non è una consolazione, ma un dato di fatto. Anche se i numeri positivi resi noti in questi giorni non devono nascondere quanto c'è ancora da fare.Ma, appunto, i numeri ci sono e sono più che buoni. «Nel 2015 l'agricoltura – ha detto il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina –, ha fatto segnare il più alto aumento di valore aggiunto con un +3,8%, l'export agroalimentare ha toccato la soglia record di 36,8 miliardi di euro con +7,5%, l'occupazione giovanile è aumentata del 16% con oltre 20mila nuovi posti di lavoro». Questa, come lo stesso ministro ha sottolineato, è la fotografia del cosiddetto «settore primario» nell'anno dell'Expo 2015 frutto, dice sempre Martina, delle buone politiche messe in atto da questo governo. Cose vere, certamente, che, tuttavia, non devono fare dimenticare che i cambiamenti agricoli sono sempre il prodotto di movimenti più ampi, investimenti di più lungo periodo, intenti che partono da lontano la cui realizzazione è condizionata anche dalle bizze dei mercati e del clima. Le aziende agricole non sono fabbriche, chiusi capannoni protetti da una parte del mondo esterno. Ma che i numeri siano più che buoni non c'è dubbio. E anche quest'anno, almeno dal punto di vista della politica agricola nazionale, ci sono tutte le premesse per fare bene. Martina, ha ricordato per esempio che nella legge di stabilità l'agroalimentare ha avuto una centralità assoluta: «Da quest'anno tagliamo del 25% la pressione tributaria sulle aziende, cancellando Irap e Imu sui terreni che da sole valevano 600 milioni di euro».Premesse buone, quindi, che come si è detto dovranno fare i conti con il mercato (oltre che con il clima). Proprio il primo è stato ricordato da una nota di Coldiretti sull'andamento deflazionario dei prezzi agricoli. Qualche esempio fa capire tutto: -60% per i pomodori, -30% per il grano duro, -21% per le arance rispetto all'anno scorso. Senza contare ciò che sta accadendo per la zootecnica: i bovini da carne sono pagati su valori che si riscontravano 20 anni fa. Poi, oltre ai prezzi attuali, ci sono, appunto, i movimenti di lungo periodo. Dallo scandalo del metanolo ad oggi i consumi di vino degli italiani si sono praticamente dimezzati passando dai 68 litri per persona all'anno del 1986 agli attuali 37 litri che rappresentano il minimo storico dall'Unità d'Italia nel 1861. Una condizione che non è colpa del metanolo ma del profondo cambiamento delle abitudini alimentari del Paese oltre che delle modalità di socializzazione. Anche questo conta nel panorama agricolo di oggi.