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Tra astrazioni e «buona etica»PaoloBenanti

Paolo Benanti giovedì 24 marzo 2022
Il lancio del nano, o dwarf tossing, è un passatempo australiano a dir poco bizzarro. Questa pratica che ha fatto discutere tutto il mondo consiste nel far indossare tuta, casco e protezioni a un uomo nano, poi lanciato tramite maniglie poste sull'imbragatura. Crudele stigmatizzazione di alcune persone, o disciplina sportiva? Questa attività può essere capita come un'attrazione da bar nella quale una o più persone affette da nanismo, vestite con speciali costumi di velcro, vengono lanciate verso materassi anch'essi ricoperti di velcro, con l'obiettivo di centrare un bersaglio. I fan sostengono la libertà del nano consenziente, i critici il dovere di proteggere la persona che diviene vulnerabile per la sua condizione. E c'è anche chi contesta la parola "nano" perché dispregiativa.
Si tratta di uno sport lecito in forza del consenso del lanciato, o è l'ennesima offesa alla dignità di persone non statisticamente alte come gli altri? Può il consenso del "lanciato" giustificare l'attività, ludica o sportiva, del lanciatore? Una prima risposta la condivido con Armando Massarenti: «Un libertario, come chi scrive, non può non uscirne turbato. Vorrebbe che questa pratica non esistesse, ma come giustificarne il divieto? Vorrebbe che si facesse un uso migliore della propria libertà, ma non vorrebbe neppure biasimare chi si trova in un orizzonte di scelte imparagonabile con il proprio. Era partito con l'idea di scrivere una cosa divertente. Ora non può che vergognarsi se davvero qualcuno ha riso mentre la leggeva» (Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima, Ugo Guanda Editore, Milano 2009). Sapere quanto le parole possano ferire, o dire quanto il libero consenso possa giustificare atti lesivi della persona, anche di fronte a gravi condizioni di necessità della stessa, non è una questione facile cui rispondere. Di certo non lo si può fare in un tweet, uno slogan o un quesito secco.
Qualcuno leggendo pensa che il lancio del nano sia anche un'ottima metafora per parlare di altre questioni contemporanee. L'etica non è mai pura teoria ma una disciplina che si interroga a partire dalla realtà e dai casi concreti. A voler prendere sul serio le questioni etiche ci si deve però esporre, e a decidere cercando di fare il bene non sempre si resta indenni. «Il tragico dell'azione», come lo definisce il filosofo Paul Ricoeur, si incontra quando le regole sono in conflitto tra loro e non ci consentono di scegliere, come accade nella tragedia di Antigone, in cui la legge civile entra in contrasto con la legge dei legami familiari e della religione.
Prima di giudicare occorre comprendere. Spesso l'errore non nasce dall'applicazione dei princìpi ma dall'incapacità di "leggere dentro" – di intus legere – il caso. Una buona etica non può prescindere infatti da una buona ermeneutica.
Quanti lanci di nani vediamo oggi leggendo i giornali...