Ricordo solo che aveva la barba. Non lo conosco, mai visto prima. Ma ha il potere di uccidermi, e anche quello di resuscitarmi. Per giunta con il mio consenso. «Informato», dice il modulo che ho compilato senza informarmi prima di firmarlo. Perché non è bello leggere che se qualcosa va male, la colpa è solo tua. Tanto vale fingere di non saperlo. Certe volte non ci fidiamo di un idraulico a caso, e scegliamo quello che ci ha già aggiustato il rubinetto, eppure affidiamo alle mani di uno sconosciuto il potere di chiuderci gli occhi senza sapere se saprà riaprirceli. Ma non c’è tempo per pensarci. L’uomo con la barba ha una siringa in mano con del liquido bianco dentro. L’anestesia assomiglia al latte: da quello veniamo, con quello iniziamo a stare al mondo, nel bianco ci addormentiamo. «Ci vediamo tra un’ora», mi dice la barba che parla, prima che la chimica che mi spara in vena mi risucchi nel nero cosmico del nulla. Buio, sonno, zero. Nessun rumore, nessun dolore: entri in un luogo dove non succede niente mentre accade tutto. Non immagini, non senti, non sei. Ma quando tutto finisce, la vita ricomincia. E ti lascia un sollievo insieme a un dubbio: chissà quando tornerò in superficie la prossima volta. Grazie a un movimento, un’espressione, un sorriso. E chissà di chi saranno gli occhi che se ne accorgeranno.
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