«Loro hanno tantissimi soldati. Più ne eliminiamo e più ne arrivano. Sono come gli orchi nei videogiochi dei miei figli», dice Julia, tiratrice scelta ucraina, ad Andrea Nicastro del "Corriere". In prima linea il Cremlino manda i ragazzi di leva. Negli ospedali i medici sobbalzano nel vedere l'anno di nascita di quei feriti: 2003. Hanno 19 anni, forse non li hanno ancora compiuti. Chiamati dalle regioni più remote, e spediti al fronte. Alcuni, se appena possono, disertano. A migliaia sono già morti. Russi: invasori, certo, e occorre respingerli. Occorre sparare. Eppure non sono uomini, e dell'età dei nostri liceali? «Sono come gli orchi nei videogiochi dei miei figli». Eppure anche Julia ha figli. Ma quale accecamento del cuore produce la guerra, per vedere i nemici che cadono come figurine di un gioco? Troppo male, troppo dolore a Est. Verrebbe da disperare. Ma nel giorno della Annunciazione il Papa ha consacrato a Maria il popolo russo e quello ucraino, insieme. «È il gesto del pieno affidamento dei figli che, nella tribolazione di questa guerra crudele e insensata che minaccia il mondo, ricorrono alla Madre. Come i bambini, quando sono spaventati, vanno dalla mamma a cercare protezione». Non siamo anche noi spaventati? Potessimo tornare figli. Perché – dice Francesco – «se vogliamo che il mondo cambi, deve cambiare innanzitutto il nostro cuore».