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Torna la Messa per il duca di Ferrara vero capolavoro di Cipriano de Rore

Andrea Milanesi domenica 8 giugno 2003
Se il valore assoluto di un disco si può già intuire dai primi cinque minuti d'ascolto, il compact disc (pubblicato da Harmonia Mundi e distribuito da Ducale) che l'Huelgas-Ensemble e il suo direttore Paul Van Nevel hanno dedicato alla figura di Cipriano de Rore (1516-1565) può essere considerato un capolavoro senza tema di smentita. La chanson Mon petit cueur, chiamata a inaugurare questo compendio di opere vocali del compositore fiammingo, rappresenta infatti un gioiello di raffinata fattura e di coinvolgente espressività: ideale introduzione alla significativa selezione di ispirati mottetti (come il metafisico Plange quasi virgo) e plastici madrigali (tra i quali ritroviamo Schiet'arbuscel e Se ben il duol, in seguito considerati veri e propri modelli dall'illustre Claudio Monteverdi) che fa di questo progetto discografico una preziosa testimonianza dell'arte polifonica rinascimentale, ricostruita attraverso la parabola creativa di uno dei suoi più autorevoli esponenti. Ma è nella Missa "Praeter rerum seriem" a sette voci che il programma del disco trova il proprio baricentro; una monumentale opera liturgica costruita sull'omonimo mottetto natalizio di Josquin Desprez e dedicata al duca di Ferrara Ercole II d'Este, presso la cui corte Rore venne ingaggiato come maestro di cappella (prima di entrare in servizio presso i Farnese, di ricoprire la massima carica musicale nella Basilica di San Marco a Venezia e di stabilirsi nuovamente - e questa volta definitivamente - a Parma). Musica, specchio del testo è acutamente intitolato il breve saggio con cui Van Nevel ha accompagnato questa registrazione; ed è proprio questo il riferimento da cui il direttore belga prende spunto per costruire la sua interpretazione. Nell'assecondare tanto i severi dettami dello stile contrappuntistico quanto la fantasia comunicativa delle pitture musicali di scuola madrigalistica, le diverse sezioni del proprium missae offrono infatti a Rore un ambito privilegiato in cui dimostrare una familiarità prodigiosa con la parola sacra e con la profonda vertigine di mistero che è chiamata a evocare; perché, come recitano i primi versi del testo del mottetto originario di Josquin, «al di là di ogni umana comprensione, la Vergine Maria ha concepito il Figlio dell'Uomo».