C'è un buon motivo se nel mio sottopancia (quella scritta che scorre quando parlo in tivù) c'e' scritto “giornalista sportivo”. Dopo una vittoria come quella sulla Germania si può indulgere al sentimento, cedere anche alla retorica, improvvisare epinici secondo insegnamento pindarico. Dopo una sconfitta come quella inflittaci dalla Spagna, ceduto il passo alle lacrime - obbligo poetico anche questo, spunto per l'epicedio, canto dello sconfitto - è d'obbligo invece passare all'analisi; e al critico, dopo un 4-0 tocca trasformarsi in perito settore e cercare i motivi di una così pesante debacle. Non sono solo i sintomi visibilissimi di affaticamento a dare una spiegazione, sarei semmai dell'idea - per restare fra tecnica e sentimento - di analizzare le lacrime. Vanno forte - in tivù e sui giornali - quelle di Balotelli, il gigante ferito, l'alba tragica dopo una lunga notte piena di sogni travolti dalla realtà; credo sia invece più utile - anche se meno spettacolare - soffermarsi sulle lacrime di Pirlo, il professore cui è stata negata la cattedra e che nel giro di poche ore ha perduto non solo il bandolo della matassa, il testo della lezione, ma anche gli orpelli che gli avevano rifilato, compreso un Pallone d'Oro finito agli spagnoli che in un modo o nell'altro - fra Real e Barcellona, fra Messi e Ronaldo - ne sono diventati collezionisti. Asciugate le lacrime, ecco il risultato tecnico/tattico del disastro che non chiamerò - come sento dire - «sconfitta gloriosa». L'Italia di Prandelli, che per fortuna non finirà in archivio con il solo 4-0 ma anche con gli incoraggianti e esaltanti risultati precedenti, ha sbagliato ad affrontare la Spagna di Mago Merlino Del Bosque (ne ha anche l'aspetto, gli mancano solo la bacchetta e il cappello a cono) sul suo terreno, tentando di imitare e superare quel gioco rapinoso e un po' bislacco - dicesi “tichetache” - basato su raffinato e sfiancante palleggio interrotto da folate offensive micidiali. C'è di più: Del Bosque, che non è un dilettante allo sbaraglio ma un professionista con un curriculum di successo, ha anche felicemente adottato l'arte dell'italico contropiede e con quell'arma a noi cara (una volta?) ci ha battuto. Iniesta - l'anti-Pirlo per eccellenza - ha costruito per tutti, come un vecchio italico mediano, azioni affidate allo sviluppo e al buon fine perchè gli azzurri, tentando di parlare la stessa lingua degli spagnoli, si son trovati a corto di grammatica, incapaci di inanellare le stesse frasi tattiche e di esprimere la tecnica che certo non gli manca. Così si spiega l'accesso alla fiera degli errori e degli orrori; poi il crollo fisico. Chi fa calcio sa che i gol fatti sono la miglior medicina per gli acciacchi, e l'abbiamo dimostrato con la Germania, mentre i gol subiti ti svuotano prima di energie psicologiche eppoi di quelle fisiche. L'Italia di Varsavia e quella di Kiev non sono due squadre diverse ma le facce della stessa medaglia. D'argento e non d'oro. Come dire che si va verso il futuro cominciando non dalle rovine - come nel post Sudafrica - ma da un impianto che va solo migliorato. E questo Prandelli lo sa come noi. È importante - pensando all'ingrato campionato che presto tornerà a esibire egoismo - evitare di ripetere quel ch'è successo in un momento d'imprudenza se non di follia: non si entra nell'arena come tori, sfidando il matador. Salvo casi rarissimi, la corrida la vince sempre lui.