Chi esulta e chi s'indigna. Tutto secondo copione, nei commenti alla decisione della Corte costituzionale sul doppio cognome. Per Lucetta Scaraffia ("Quotidiano Nazionale", 28/4) la libera scelta «senza dubbio scompaginerà gli alberi genealogici e quindi la struttura patriarcale». Ma soprattutto si tratta «di un nuovo capitolo nella crescente possibilità di definire la nostra identità, non solo scegliendo dove viviamo, chi sposiamo, che lavoro facciamo, ma anche quale cognome manteniamo, quale cancelliamo», con il dubbio suggerito dalla giudice Gabriella Luccioli, che dal 2004 si batte per il riconoscimento, nel servizio di Liana Milella ("Repubblica", 29/4): «Senza una legge, il rischio è che possa succedere un manicomio». Per Melania Mazzucco ("Repubblica", 29/4) la nuova legge avrà «un eccezionale significato pedagogico», e conclude: «Mi piace pensare che tra vent'anni le ragazze e i ragazzi italiani cresciuti anche nel nome della madre saranno figli, e poi compagni, coniugi e cittadini, migliori». Tutto bello e semplice? Tutt'altro. È la premessa dell'intervento di Simonetta Sciandivasci ("Stampa", 29/4): «Rispetto al doppio cognome tutti hanno ragione su un punto: genererà caos. Ed è questo il bello, è qui che la questione rivela cosa agita e complica: la libertà, e la fatica che costa». Perché troppi di noi pretendono la libertà, purché non costi fatica. Ancora Sciandivasci: «Quando un diritto viene allargato, c'è sempre qualcuno che trema perché si amplia anche lo spazio di libertà e, automaticamente, anche la possibilità di conflitto». Intanto le pagine si moltiplicano. Il "Giornale" (28/4) propone il classico pro e contro tra Valeria Braghieri («Riconosciuto il legame») e Felice Manti («No, è l'ennesimo dispetto»). Sul "Corriere" (28/4) il giurista Carlo Rimini sentenzia: «È la fine della famiglia patriarcale».