TI AMO
Era vescovo nel IV secolo in una metropoli, anzi, in una capitale, Costantinopoli, e perciò - come ancor oggi accade nelle grandi città - vedeva dispiegarsi davanti ai suoi occhi la gamma oscura delle crisi matrimoniali e familiari. Così s. Giovanni Crisostomo in una sua omelia sul c. 5 della Lettera agli Efesini, in cui s. Paolo celebrava la grandezza del matrimonio cristiano, si abbandonava a questa intensa esaltazione dell'amore coniugale. Non so quanti lettori e lettrici possono ripetere queste stesse parole alla loro moglie o al loro marito. Eppure questo è l'ideale che già la Genesi delineava quando affermava che i due devono essere «una sola carne», cioè una sola esistenza e persona. E Paolo commentava: «Nessuno prende in odio la sua carne, ma la nutre e la cura» (Efesini 5, 29).
Certo, la fragilità umana conosce anche il momento della crisi: nello stesso Cantico dei cantici, che è un luminoso poema d'amore, ci sono ben due «notti oscure» in cui i due sono lontani e tra loro cala il gelo dell'incomprensione. Ma l'amore non è come un oggetto che, una volta perso, lo si è smarrito o distrutto per sempre. È una realtà vivente che può rinascere, come un tronco arido può ancora gettare germogli. Basta aver fiducia e pazienza e non affrettarsi - come spesso oggi accade - a seppellire il matrimonio. Aveva ragione lo scrittore francese François Mauriac a dire: «L'amore coniugale, che persiste attraverso mille vicissitudini, mi sembra il più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune».