«Chi ti ha accecato?». «Nessuno mi ha accecato». Anche in questi tempi di smemoratezza, o oblio, resta celebre la frase con cui Ulisse inganna il gigante Polifemo, essere mostruoso, con un solo occhio al centro della fronte, che si nutre di carne umana. A Polifemo che gli chiede «Chi sei? Come ti chiami?» Ulisse risponde: «Nessuno». Così, accecato nel sonno dal palo che Ulisse gli conficca nell'occhio, il gigante griderà che Nessuno lo ha accecato e nessuno, proprio, dei suoi colleghi ciclopi gli darà retta, permettendo al re di Itaca e ai suoi di fuggire e salvarsi. Interpretazione inconfutabile. Ma non sufficiente. Sarebbe un po' poco, da parte di Omero, inventare queste frasi per confermare la nota astuzia di Ulisse. C'è altro, ben più profondo e angoscioso: Polifemo è una specie di uomo, un mostro semiominide, la sua natura offende la natura umana. Ma è uomo, comunque: eretto, bipede, si esprime con linguaggio parlato. Ulisse di fronte a questo essere è sgomento: se anche questo è un uomo, allora io, uomo, io non ho nome, io sono nulla, mi chiamo nessuno. Di fronte alla mostruosità dell'uomo, al pedofilo, al campo di concentramento, alla schiavitù, allo stupro, io non sono più certo di avere un nome, come uomo: se l'uomo è anche quello, vacillo: in quel momento, per fortuna non eterno, io temo davvero di essere nessuno.