Rubriche

L'Italia dimostri di "ripudiare la guerra", non la pace

Marco Tarquinio domenica 14 maggio 2023

Ricominciamo da un appello a preghiera e riflessione di donne nel nome di Giovanni Paolo II. E da un gioco di parole e di speranza tra «armocromia» e «disarmocromia»

Gentile Tarquinio,

sono nata in tempo di guerra e voglio morire in tempo di pace. Del tempo in cui nacqui non ho grandi ricordi, ma non ho dimenticato il suono delle sirene, le bombe, il correre in cantina, i carri armati con i cannoni puntati sulle case, i tedeschi che sfondavano le porte a fucile spianato per cercare ebrei e partigiani... E non ho dimenticato neppure che mio padre, per il solo fatto di aver lasciato accesa la luce nel retro della sua bottega di fotografo, fosse stato arrestato e caricato sul camion con destinazione Piazzale Lotto dove venivano smistati gli ebrei, separandoli dai prigionieri comuni. Milano era il transito dei disperati. Ora, dopo 80 anni, vedo ripetersi follie simili appena fuori dalla porta della nostra Italia, comunque in terra d’Europa, nell’Ucraina trasformata in campo di battaglia. Chiedo perciò alle nonne, mamme, figlie, sorelle, zie e a tutte le donne del mondo di costruire una virtuale “catena di voci” che il prossimo 18 maggio, in occasione dell'anniversario dei 103 anni della nascita di Karol Wojtyla, chieda a voce alta e da un capo all’altro del globo a san Giovanni Paolo II di intercedere per la pace, sino a far breccia nelle coscienze e far venire allo scoperto il lato migliore di potenti e popoli. Tocca a noi donne, perché di noi quel santo Papa ha saputo dire: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione nel mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani». Non mi rivolgo solo alle donne cattoliche, ma alle donne di tutte le religioni e di ogni pensiero e cultura. La guerra non fa distinzioni. Anche l’impegno per la pace non abbia distinzioni. Buona pace a tutti.

Maria Luisa Barbini, Classe 1941, Varese


Caro Tarquinio,

molti (altri) giornali nelle ultime settimane, a seguito di un'intervista della segretaria del Partito democratico a “Vogue”, si sono soffermati a commentare e disquisire sul tema della armocromia. Cioè della scelta e dell’abbinamento dei colori degli abiti.

Come purtroppo spesso accade, hanno fatto di una battuta di per sé irrilevante un'arma di distrazione di massa. Raccogliamo la provocazione per ragionare di cose importanti: di armocromia non siamo esperti e neanche ci interessa esserlo, piuttosto ci interessa molto e da tempo la disarmocromia. Ci interessa legare il Rosso della passione e dell'amore con l'Arancione di energia e vitalità; con il Giallo di felicità e speranza e il Verde della natura e dell'Abbondanza per tutti; e ancora, con il Blu della responsabilità e calma, l'Indaco della spiritualità e il risveglio interiore e il Viola della creatività e dei diritti-doveri. Nell'armonia positiva di questi sette colori che si legano in Arcobaleno di Pace non c'è spazio per armi e violenza: è quello per cui lottiamo ogni giorno e su cui vogliamo confrontarci seriamente.

Andrea Guerrizio, coordinamento romano del Servizio Civile “Le Vie della Nonviolenza”


Heri dicebamus... Dov’eravamo rimasti... Come annunciato, riannodo in questo spazio il filo di un dialogo con i lettori di “Avvenire” che non si è mai interrotto negli ultimi 14 anni. E lo riprendo dal punto esatto – il tragico, affaristico e persino tracotante “ripudio della pace” – in cui ci dibattiamo da quasi quindici mesi e attorno al quale ci eravamo lasciati il 4 maggio scorso, esattamente dieci giorni fa. La lettera, allora, era acuminata e incalzante, la risposta condensata nel titolo: «Nel mondo delle 169 guerre il problema non è il disarmo, ma il continuo riarmo». Nel frattempo, il mio ruolo in “Avvenire” è cambiato, ma disponibilità, ragioni e passioni sono le stesse. La stessa è la speranza. E identica, purtroppo, resta l’urgenza di resistere alla pratica e alla retorica della guerra e di sovvertire la logica dell’immane massacro di umanità e di verità che ogni guerra, in Europa e altrove, realizza e perpetua.

Dialogo, perciò, in questa domenica di maggio con due lettere semplici e luminose, buone per contestare ancora una volta il “ripudio della pace” che capovolge la nostra Costituzione, quell’articolo 11 che papa Francesco decise di citare parlando al mondo intero nell’Angelus del 27 febbraio 2022 («Perché chi ama la pace, come recita la Costituzione Italiana, “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”»). È stato il primo di un’incessante serie di appelli e preghiere specialmente dedicati alla seconda e terribile fase della guerra russo-ucraina senza tuttavia dimenticare nessuna delle altre ferite belliche aperte nella carne viva dell’umanità. Ed è la premessa e il senso dell’iniziativa, anzi della «missione», che la Santa Sede insiste a proporre a tutte le parti belligeranti con umile e ferma tenacia, e con rinnovata urgenza proprio in queste ore.

La signora Maria Luisa Barbini inizia e conclude in modo fulminante e commovente la sua riflessione di donna nata nella guerra e decisa a non vivere e a non morire, oggi, tra quell’odio e quella paura. La proposta di questa saggia e gentile amica è di fare di giovedì 18 maggio, compleanno di Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II, santo e mai rassegnato seminatore di pace, un giorno di autoconvocata preghiera e riflessione al femminile che accomuni donne di fedi e visioni diverse, secondo uno stile che abbiamo imparato a praticare proprio alla scuola del primo pontefice slavo, e insieme e prima di lui a quella di Giovanni XXIII e Paolo VI e dopo di lui, oggi, stando accanto a papa Francesco. Penso che noi uomini dovremmo esser grati per questo. Senza farci sussiegose domande sulla tempestività, le proporzioni e il successo possibile di una mobilitazione spirituale e morale di questo tipo, per di più lanciata fuori da ogni schema (la preghiera e l’obiezione alla violenza sono sempre fuori dagli schemi.) Penso, insomma, che dovremmo saper ascoltare le “voci del silenzio” che osano inseguire e contraddire quelle delle armi e di una politica che non sa più che cosa voglia dire «organizzare la speranza».

L’amico Andrea Guerrizio sceglie, invece, un coinvolgente gioco di parole tra armocromia e disarmocromia per indicare l’unica prospettiva per cui valga la pena di impegnarsi: il “ripudio della guerra” e non il “ripudio della pace”. E per denunciare una politica e un’informazione di nuovo inclini a esaltare lo schieramento e l’uso di “armi di distruzione” mentre si dimostrano sempre pronte a confezionare “armi di distrazione”. Sono preziosi, resistenti e squillanti i colori d’arcobaleno dipinti in questa intensa lettera, e davvero utili per “svegliarci” in giorni in cui dall’Europa arriva un angosciante via libera all’utilizzo per la produzione di munizioni da guerra dei fondi del Pnrr, ovvero delle risorse del grande piano di ripresa post-Covid intitolato alla «Prossima generazione europea» (Next generation Eu). Una feroce distorsione di senso e un deragliamento che il governo italiano ha fatto sapere di non voler assecondare. Bene, almeno questo. Ma aspettiamo sempre di vedere un’Italia capace di agire sulla scena globale secondo lettera e spirito della sua Costituzione.


Per scrivere a Marco Tarquinio: indialogoconmt@avvenire.it