Tamponiamo i fuggiaschi d'oro e salviamo i Quagliarella
pareva giusto dedicare un cenno di poesia allo Sport Sparito: una domenica senza eventi, un lunedí senza chiacchiere (ricordo quando Ferrari ci chiamò «ingegneri del lunedì», in fondo odiando quello che avrebbe voluto essere «da grande», ovvero un giornalista sportivo); ma non sono poeta e ho chiesto in prestito quattro versi di una canzone di Mina – 80enne oggi, ma eterna – scritti da Nino Ferrer. In fondo, ho avuto un passato di canzonettista (da rivendicare, perché no?) quando, nei primi Sessanta, invece di scoprire pedatori talentuosi dedicavo le mie ricerche a giovani voci che si chiamavano Mimí Bertè, Equipe 84, Lucio Dalla, Mario Guarnera, Vasco Rossi, guidato nella ricerca dal maestro Carlo Alberto Rossi e da Roberto Danè, il discografico che mi fece conoscere Fabrizio De Andrè quando incise Via della povertà. Il primo giorno senza sport è stato cantato come un De Profundis dagli odiatori del panem et circenses e in particolare di quel gioco “poppolare” ch'è il calcio e con intenti demolitori da quegli intellettuali che non hanno mai conosciuto la passione neppur segreta di Gabriel Garcia Marquez, di Jean Paul Sartre, filosofo tifoso, o di Albert Camus, algerino, portiere dell'Orano Football Club: tre premi Nobel (Sartre lo rifiutò) che dedicarono riflessioni fulminanti (ma anche banali) al calcio. Come Camus - che ha scritto La Peste, vendutissimo in questi frangenti, che se ne uscì con una osservazione critica profonda («il pallone non arriva mai da dove te lo aspetti») dopo aver confessato: «Non ho conosciuto che nello sport di squadra, al tempo della mia gioventù... Davvero, quel poco di morale che conosco l'ho appreso sul campo di calcio»; e Sartre, non meno incisivo quando dice «il calcio è metafora della vita» oppure
«tra una squadra di calcio e un gruppo di ribelli armati ci sono molte cose in comune», finendo poi con una annotazione ingenua, bambinesca: «La partita di pallone è bellissima, peccato che entri in campo anche la squadra avversaria». Dedico questo panegirico al gioco del pallone mentre infuria una campagna demolitrice scatenata da “Quelli che.... il tampone”, i milionari come Higuaín e Neymar, tanto per dirne un paio, scappati con la paura, i soldoni e gli aerei privati scroccando allo Stato – appunto il tampone di controllo, quello leggo – negato agli italiani “normali”, categoria inventata, visto che nel Bel Paese di normale esiste solo l'eccezionale: natura, arte e storia. Ora sappiamo finalmente che non sono guerrieri, forse solo animucce, prestipedatori – giocolieri con la palla, s'inventava Brera – che quando il calcio tornera' in campo e loro alle squadre abbandonate dovranno fare una seconda quarantena. Cerebrale. Segnalo fin d'ora, ai presidenti che s'azzuffano e agli allenatori che si disperano, la necessità di tenere nelle migliori condizioni possibili i “vecchi” e i “gregari”, quelli come Pandev, Chiellini, Quagliarella, Callejon, Ibra, Palacio e tanti altri seri professionisti che si tengono in forma perché sanno di essere “arrivati” e forse conoscono Padre Dante: «Uomini siate non pecore matte».