Icorsi di alfabetizzazione? Benissimo. Le lezioni di taglio e cucito? Ottimo. Anche un po' di economia domestica, informatica o i rudimenti del microcredito. Ma a che serve il judo? Serve eccome, nella testa e nel cuore di una suora giovane e combattiva che dall'oggi al domani si è trovata a fare da “tutrice” a una 80ina di ragazzine senza famiglia, in un Paese africano, lo Zambia, dove essere femmine, orfane e analfabete non è il migliore lasciapassare per il futuro. Suor Patrizia Di Clemente ha 44 anni, è una bergamasca solida, con un volto aperto e gli occhi trasparenti. Da febbraio 2019 è rientrata in Italia e ora lavora a Roma come educatrice in centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Ma in questa storia c'è un “prima”. Ed è quando suor Patrizia era in missione a Lusaka (dal 2008 al 2019), la capitale dello Zambia, e nel Saint Daniel Comboni for Social Development Center offriva una possibilità a decine di ragazze sole: corsi di avviamento al lavoro e per le più promettenti anche borse di studio per continuare a frequentare la scuola. «Erano giovanissime, senza genitori, oppure affidate a pseudo-zii di città. Ma per moltissime di loro era una trappola: finivano a fare le schiave di casa, con concreti rischi di abusi e violenza», racconta ad Avvenire. Nell'estate del 2016, l'incontro con una volontaria italiana arrivata a Lusaka per un mese di servizio, allarga gli orizzonti. La giovane infatti è una judoka e suor Patrizia non si lascia sfuggire l'occasione. «Da tempo pensavo a come insegnare a difendersi a ragazze che vivono situazioni di sottomissione in casa e di sopraffazione fuori casa: ed ecco la risposta», sorride. Ma il judo non è solo difesa personale: è anche concentrazione, autodisciplina, espressione di forza fisica e mentale, equilibrio. Una piccoletta che impara a tenere testa a un antagonista più grande di lei capisce anche che può farcela nella vita. La sua autostima aumenta e così la fiducia nelle proprie possibilità. Partita la volontaria italiana, suor Patrizia si rivolge all'Associazione Judo dello Zambia, che regala divise e tatami e mette a disposizione un istruttore tre volte a settimana. «Il judo non stimola l'aggressività: si impara a toccare l'avversario seguendo le regole, quindi con rispetto e assecondando i tempi dell'altro. La forza fisica è secondaria. È una grande lezione di vita». Le ragazze di suor Patrizia nel 2018 hanno partecipato al Campionato nazionale di judo «e questo le ha fatte sentire importanti, si sono sentite valorizzate e apprezzate, proprio loro che vivono rinchiuse nella loro periferia». Una periferia con case fatiscenti, fredde e umide, fatte di mattoni di sabbia impastata con cemento per resistere alle piogge e ai venti. Una periferia, ancora, fatta di famiglie sfaldate, con padri inesistenti e “tutori” che in realtà tutelano solo i propri interessi. Suor Patrizia potrebbe raccontare decine di storie: alcune allieve grazie al judo hanno superato disturbi dell'alimentazione e affrontato con più determinazione situazioni familiari conflittuali. Anno dopo anno, i corsi di judo sono diventati inclusivi, con l'inserimento di alcune ragazze con disabilità psicofisiche. «Ricordo Janet, ipovedente. Aveva 6 anni e veniva al Centro accompagnata da due zie, due gemelle di 14 anni. Stava sempre attaccata a loro, non sapeva relazionarsi agli altri. Ma l'istruttore Hamphrey ha compiuto il miracolo: Janet pian piano si è emancipata dalle zie. Ora ha 11 anni e cammina a testa alta, da sola».