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Suor Fernanda nel barrio salva le schiave del sesso

Antonella Mariani giovedì 12 maggio 2022

Per la prima volta da quando, due anni e mezzo fa, è iniziata questa rubrica, la "Protagonista" è una donna sotto anonimato. La chiameremo Fernanda Tarazona; è una suora colombiana, ha 40 anni, un sorriso che trasmette purezza e letizia, e svolge un lavoro che mette la sua sicurezza in pericolo. La sua missione è nella Città vecchia di Cartagena de Indias, tra le stradine e le piazzette antiche che incantano i turisti e imprigionano le schiave del sesso. Centinaia. Giovanissime. Al 90 per cento fuggiasche dalla miseria del vicino Venezuela, senza alternative, senza aiuti, senza protezione. «Le riconosciamo dall'accento, fin dalla stazione dei bus, quando scendono e si guardano intorno smarrite e poi vengono prese in carico dagli sfruttatori», racconta suor Fernanda.

Lei e le volontarie e i volontari laici della Rete Tamar, il progetto che vede insieme religiose di differenti congregazioni contro la tratta di persone, non fanno niente di speciale, eppure compiono miracoli. «Entriamo nel barrio in piccoli gruppi, sia di giorno sia di notte, due volte durante la settimana e poi nei weekend, salutiamo le ragazze che attendono i clienti, lasciamo bigliettini con passi del Vangelo. E aspettiamo».

Cosa aspetta, suor Fernanda? «Che facciano loro il primo passo, che si lascino avvicinare», risponde in un colloquio via Zoom. La suora ricorda Carlotta, che a 18 anni aveva già il volto e il fisico segnato: «Un giorno ci ha detto che ogni volta che ci vedeva si metteva a pregare Dio perché non voleva più fare quel lavoro. L'abbiamo invitata nella nostra casa. Quando è venuta, l'abbiamo accolta con allegria. Pian piano ha iniziato a frequentare i nostri seminari. Lei non era consapevole di essere una vittima, pensava che il suo fosse un lavoro e invece era una schiava del sesso. Ora Carlotta è inserita in una scuola, sta studiando per il suo futuro e noi la sosteniamo economicamente».

Un'altra è Matilda, aveva 28 anni quando suor Fernanda l'ha conosciuta nel barrio: era arrivata da un paesino dell'interno per sfuggire alla violenza dei gruppi armati. Era stata drogata e abusata e quando è riuscita a liberarsi, l'unica porta che le si è aperta, a Cartagena, era quella della prostituzione e di un'altra schiavitù. «Era distrutta, si nascondeva, ci guardava da lontano. Poi dopo diversi mesi si è avvicinata e mi ha chiesto di aiutarla. Matilda ha frequentato i nostri corsi di formazione, è uscita dalla dipendenza, oggi gestisce una piccola cartoleria ed è diventata una leader della Rete Tamar». Quando si aggira per i vicoli di Cartagena, suor Fernanda avverte il dolore delle donne schiave, lo vive sulla sua stessa pelle di donna. «Non sanno di essere vittime, si sentono colpevoli e peccatrici. Io dico loro che Dio è vicino e le ama».

La religiosa sa di essere "scomoda" e per questo ha chiesto di non usare il suo vero nome. Suor Fernanda e le consorelle della Rete Tamar difendono i diritti umani e in Colombia tra gennaio e febbraio sono stati assassinati 17 attivisti perché mettevano i bastoni tra le ruote ai trafficanti di droga, che sono strettamente legati al business dello sfruttamento sessuale delle donne più povere e indifese. «Sono grata a Dio per la missione che mi è stata affidata e la continuerò fino all'ultimo dei miei giorni – conclude suor Fernanda –. Posso portare una goccia d'acqua nell'inferno delle vita di queste giovani». Ogni donna avvicinata è una vittoria, ogni donna liberata un trionfo dell'amore.
Ha collaborato Claudia Demeure