Luca Mastrantonio autore di
Intellettuali del piffero (Marsilio, pp. 272, euro 18) non teme il banale. Giovane redattore del
Corriere della sera (è del 1979) ricorda quel volpacchiotto del proverbio ghanese che, nato nel mese di marzo, in luglio asseriva: «Non si è mai vista un'estate così bella». Fin dal titolo si aggrappa al
Pifferaio di Hamelin nella versione dei Fratelli Grimm, e cita
La fattoria degli animali di Orwell con l'entusiasmo di chi l'ha appena letta. Ciò lo rende anche simpatico, perché essere giovani non è una colpa, e ciascun uomo deve rifare in proprio tutta la storia della letteratura, della filosofia, dell'arte e di tutto il resto; ma non è neppure un merito, nel senso che essere giovani non è né un'aggravante né un'attenuante: conta quello che si dice (e si scrive) e come lo si dice, nell'auspicabile consapevolezza che l'acqua calda e anche l'ombrello sono già stati inventati. Lo scopo del libro, giunto rapidamente alla seconda edizione, è spiegare «come rompere l'incantesimo dei professionisti dell'impegno». Una perentoria ricetta finale non c'è (non ci potrebbe essere, del resto), tuttavia è divertente lo spettacolo di un giovane intellettuale che lancia sassi contro i lampioni dei colleghi (contro i colleghi-lampione). Ma andiamo per gradi. «Gli intellettuali del piffero – chiarisce Mastrantonio – sono coloro i quali dall'impegno ricevono più di quanto danno». Sono gli scrittori, i filosofi, i critici, che devono la notorietà non tanto per le loro opere e le loro idee, quanto per il loro apparire nei talk show, nel tenere bordone ai politici, nel farsi largo sui mass media. Infatti, «molti professionisti dell'impegno sono anche professionisti dell'intrattenimento, cabarettisti del pensiero». I più bersagliati sono Alessandro Baricco, Roberto Saviano, Umberto Eco, Aldo Busi, Vittorio Sgarbi, Antonio Pennacchi, Gianni Vattimo, Erri De Luca, Alberto Asor Rosa, Andrea Camilleri, Marco Travaglio, ma ce n'è anche per Pasolini, il primo «a codificare l'intellettuale come individuo che interpreta la realtà anche in assenza di prove, perché non ha vincoli con il potere e dunque è libero (anche di colmare con l'immaginazione quello che la realtà non offre)». Il libro è zeppo di nomi e informatissimo: Mastrantonio ha letto e sfogliato molto, ha visto e ascoltato moltissimo. In questo repertorio della stupidità e della supponenza ci si imbatte in molte sorprese, perché uno stesso personaggio talvolta sembra aver ragione, talaltra è colto con le mani nel sacco: tutti sono trattati dall'autore con disinvoltura e quasi scrollando il capo con un sorriso, tanto che i bersagliati possono anche non sentirsi offesi. Il criterio di valutazione non è chiaro, e la stessa metafora del Pifferaio non è portata fino in fondo: il Pifferaio dei Grimm è positivo o negativo? Fa un mestiere utile quando libera dai topi il paese, ma poi si vendica per non essere stato pagato e incanta i bambini avviandoli a un finale con molteplici interpretazioni. Nel tirare le somme, Mastrantonio sostiene che «la morale del
Pifferaio di Hamelin è che le colpe dei padri, i padri che non pagano il pifferaio, ricadono sui figli». Dunque basterebbe pagare gli intellettuali perché non si vendichino? L'autore la mette sul piano generazionale: colpevoli sono i
babyboomers, i padri nati tra il 1945 e il 1964 che hanno avuto tutto e che tuttora sono «i padroni del (vecchio) mondo». Viene citato Massimo Cacciari che fa l'elogio del parricidio (non cruento, si capisce) che gli italiani non sanno compiere, rifugiandosi nel fratricidio, «da Romolo e Remo a Mussolini e i socialisti, fino a democristiani e comunisti». E allora? Mastrantonio applica ai coetanei intellettuali italiani quello che il (secondo me sopravvalutato) Roberto Bolaño dice dei sudamericani, e cioè che non desiderano altro che essere riconosciuti, «rispettati», per «vincere la paura di lavorare in officina o vendendo paccottiglia per strada». E per rompere l'incantesimo del Pifferaio, conclude Mastrantonio, bisognerebbe sapergli dire: «Non hai alcun potere su di me». Ma non basta dirlo, concludo io: bisogna che l'appello alla libertà e all'autonomia sia vissuto, esplorando fino in fondo le risorse della ragione, col coraggio – l'ha detto un santo – di «esaurire la verità».