Il 27 ottobre scorso lo Stato italiano avviò la privatizzazione di Poste. Fu collocato in borsa circa il 35% dopo che la guida dell'azienda era passata nelle mani dell'Ad Francesco Caio. Dopo una massiccia campagna pubblicitaria per far sottoscrivere le azioni ai piccoli risparmiatori, il prezzo di collocamento del singolo titolo fu fissato in 6,75 euro e sul mercato venne offerto un massimo del 38,2% del capitale, corrispondente a circa 453 milioni di azioni. Ciò significava valorizzare l'azienda nel suo complesso oltre 8,8 miliardi. Lo Stato, però, incassò 3,1 miliardi rispetto ai 3,7 miliardi attesi.Il primo giorno di collocamento fu per certi versi significativo di ciò che è avvenuto nei sei mesi successivi. Quel 27 ottobre 2015, infatti, dopo un'apertura in rialzo del 2,9%, dopo neanche un'ora dall'inizio delle contrattazioni, il titolo di Poste Italiane cominciò ad arretrare e chiuse la giornata a 6,7 euro, quindi al di sotto del prezzo di collocamento.Dopo un massimo di 7,2 euro toccato il 7 gennaio di quest'anno e un minimo di 4,9 euro dello scorso 9 febbraio, l'azione nei giorni scorsi è risalita faticosamente vicino al prezzo di collocamento tanto che il bilancio di sei mesi di quotazione è un progresso risicato dello 0,1%. Poco davvero per quei tanti piccoli risparmiatori che sorridono quando magari vedono scritto che grandi banche estere o operatori italiani hanno fissato un "prezzo obiettivo" tra gli 8 e addirittura gli 8,4 euro; livello che il titolo del gruppo guidato da Caio dovrebbe troppo ottimisticamente raggiungere da qui a fine anno. Si sono consolati solo con un dividendo di 0,34 euro, corrispondente a circa un 5% del prezzo di collocamento.Ma sul futuro dell'azione di Poste Italiane pesano molte incognite. La prima è la seconda fetta di privatizzazione, pari a un altro 30% del capitale, che il governo intende avviare nella seconda metà dell'anno e che avrebbe probabilmente effetti ribassisti sul titolo. Al netto di ciò e delle ricadute "sociali" che questa operazione potrebbe avere anche in termini di riduzione di qualità del servizio, aumento delle tariffe e tagli al personale, c'è poi da osservare che Poste Italiane è fortemente esposta ai Btp e al relativo spread. E l'eventuale allargamento dello spread potrebbe essere deleterio. Di sicuro, però, c'è qualcuno che guadagnerebbe dal secondo giro di valzer borsistico di Poste Italiane: le banche collocatrici che incasserebbero milioni di commissioni.