Sui social è venuto il momento di separare e scegliere
Tutti noi lo proviamo ogni giorno. La nostra vita ormai è costellata da un continuo irrompere di stimoli e di informazioni; di cose confuse e di nozioni (e di informazioni) mal digerite. Non c'è giornata nella quale attraverso ogni mezzo elettronico la nostra attenzione non sia bombardata da stimoli che interrompono ciò che stavamo facendo o pensando. Ovviamente ci sono distrazioni piacevoli e distrazioni moleste; positive e interessanti, negative o insulse.
Da sempre soprattutto i media (tv, giornali, radio eccetera) hanno cercato di guadagnarsi con forza la nostra attenzione. Ma non era mai accaduto che dovessero affrontare una sfida con così tanti concorrenti sempre più agguerriti. Negli ultimi anni l'offerta televisiva, la musica, le radio, le informazioni e le voci delle persone comuni sono come esplose. E invece di ottenere un perfetto equilibrio democratico ci siamo trovati immersi in una congèrie quotidiana.
Molti di noi hanno imparato a fare più cose contemporaneamente, a saltare da un'app all'altra, da un sito all'altro, da una e-mail a un messaggio di WhatsApp, da un video a una foto, da un post su Facebook a uno su Instagram. Ma c'è un elemento che non varierà mai: il nostro tempo. Possiamo cercare di allungarlo, tirandolo da ogni parte, ma le ore restano 24. Per di più anche la nostra capacità di "consumo" (di notizie, libri, musica, video, film, tv...) ha dei limiti oggettivi.
Per questo la battaglia tra produttori di contenuti (media, aziende e anche semplici persone) per accaparrarsi la nostra attenzione sarà sempre più feroce. Fino ad oggi la strategia che hanno usato in tanti è stata copiata dalla televisione degli anni Ottanta, quella dei programmi urlati, dei talk show «senza tabù». Tanti hanno alzato la voce e spinto l'acceleratore sul sensazionalismo.
Anche per strada chi urla si fa notare. Ma poi? Per questo chi deve «vendere» qualcosa sa che il vero problema è il dopo. Cosa troviamo (cosa ci offrono) dopo che abbiamo cliccato su un link, scaricato un'app, aderito a una piattaforma? Ed è qui il vero punto. Ormai, molti di noi hanno imparato a scegliere, mentre altri per abitudine a scegliere sempre lo stesso menu. Il risultato però è il medesimo: è sempre più difficile convincerci a leggere, ascoltare o guardare un contenuto.
Non basta più urlare per farsi ascoltare. Non basta nemmeno più essere «un marchio» per avere attenzione. Come fare, allora? Una prima soluzione l'ha proposta mercoledì Evan Spiegel, amministratore delegato di Snapchat. Ha 27 anni, un cervello fuori dal comune e una visione del «mondo digitale» molto interessante. Non a caso Zuckerberg ha spesso copiato di sana pianta ciò che Spiegel ha inventato su Snapchat, per migliorare Instagram e Facebook.
La nuova idea di Evan Spiegel, come tutte le buone idee è semplice, anche se per farla funzionare bene serve un sistema complicato. Eccola: separare, per ora solo sul social Snapchat, in maniera netta (anche in modo grafico) i contenuti proposti dai mass media da quelli prodotti dagli amici. Le notizie dalle chiacchiere. E offrirci il meglio di entrambe. Scrive Axel: «Gli ovvi benefici che hanno guidato la crescita dei social media – più amici! più "Mi piace"! più contenuti gratuiti! – sono anche le cose che li indeboliranno a lungo termine». E ancora: «Dobbiamo seguire gli interessi reali delle persone, non quelli dei loro amici o della massa. Ciò fornirà anche un modo migliore per gli editori di distribuire e monetizzare le loro storie. Così facendo aiuteremo le persone a difendersi dalle notizie false e dalle distrazioni indegne».
È un primo passo, ma molto concreto. Come separare il grano dal loglio. Come un diserbante per la zizzania digitale. Dopo avere ammassato in modo confuso cose digitali, è venuto il momento di separare. Di togliere. Di fare meno per fare meglio. Scegliendo tutti di più e con più coscienza.