Per il nostro amato Mezzogiorno, le risorse in arrivo dal PNRR non possono essere considerate soltanto una fortissima iniezione di denaro pubblico. Se ben utilizzate rappresenteranno l'inizio di una radicale inversione di rotta, le fondamenta solide di un futuro diverso dalla mediocrità del presente per l'ultima grande area depressa d'Europa. Ma se anche questa straordinaria chance andrà perduta, il coma profondo del Sud Italia diventerà infinito. Senza vie d'uscita, per molte generazioni. Il Piano del Governo italiano prevede che al Sud sia destinato il 40% delle risorse dei bandi territorializzabili del PNRR e del Fondo complementare: 82 miliardi in totale, da spendere nei prossimi 5 anni. A questi si aggiungeranno le risorse europee "ordinarie" del Fondo di sviluppo e coesione e della Programmazione comunitaria, oltre ai trasferimenti ordinari dello Stato. Di fronte ad una pioggia di fondi senza paragoni nella storia repubblicana (a prescindere dalle polemiche sull'effettiva consistenza delle risorse nuove attribuite al Sud), si pone inevitabilmente una grande questione: quanti fondi riusciranno realmente a spendere le istituzioni territoriali del Mezzogiorno, e quali effetti produrranno? Al di là di opinioni e pregiudizi, per rispondere alla fatidica domanda abbiamo bisogno di un approccio science based. Ce lo forniscono Beniamino Quintieri e Giovanni Stamato, che su lavoce.info hanno pubblicato un prezioso indicatore sintetico di "qualità istituzionale" delle Regioni basato sulla misurazione di capitale sociale, qualità del capitale umano, efficienza della pubblica amministrazione, servizi per lo sviluppo economico e livello di illegalità. È uno strumento capace di misurare la qualità complessiva della classe dirigente politica ed economica di un territorio, che offre una fotografia straziante della situazione del Mezzogiorno. Le Regioni del Sud sono tutte in coda alla classifica e si muovono in un'altra dimensione rispetto a quelle del Nord: la maglia nera appartiene alla Calabria, che mostra performances pari ad un quarto di quelle dell'Emilia Romagna e del Piemonte, così come Sicilia, Campania e Puglia mostrano risultati pari a meno della metà di Lombardia, Veneto e Toscana. Gli sforzi innovativi del ministro Renato Brunetta per rivoluzionare la P.A. e gli impegni del ministro Mara Carfagna per le politiche di coesione dovranno necessariamente tener conto del "rischio classe dirigente" del Mezzogiorno. Abbondonando la (illuministica) illusione che siano sufficienti efficaci strategie nazionali per colmare il gigantesco gap di sistema meridionale. Per non perdere un'opportunità straordinaria, servono misure organizzative straordinarie. Ora o mai più.
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