Il 21 settembre 1990, a 38 anni, Rosario Livatino veniva assassinato da un commando mafioso nelle campagne di Canicattì. È il primo magistrato proclamato beato dalla Chiesa, che ha riconosciuto quel gesto come compiuto in odium fidei. Testimone silente e appassionato di un cristianesimo incarnato nella professione, scriveva sulle pagine delle sue agende - anche in quella trovata nella scarpata lungo la quale aveva tentato di sfuggire ai suoi assassini che lo inseguivano - tre lettere: S.T.D. (Sub tutela Dei). Così affidava le giornate alla protezione del Padre, rifiutando l'omaggio a qualunque padrino. Alcuni dei killer si sono pentiti, hanno chiesto perdono e iniziato un percorso di fede in cella. Come Domenico Pace, un componente del commando omicida, che nel 2016 (Anno della Misericordia) dal carcere di Sulmona dove sconta l'ergastolo scrive una lettera ai familiari del magistrato e al Papa in cui racconta il suo cammino di conversione: «La fede mi aiuta a sperare che il giudice Rosario Livatino mi abbia perdonato… Lo sento vicino, è con me e mi aiuta a vivere con forza d'animo la pena infinita che sto scontando». Germi di rinascita nati dal sacrificio di una vita. Anche oggi vale la frase scritta nel quarto secolo da Tertulliano: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani».