Rubriche

Storie di ordinaria economia, un arrivederci

Massimo Folador sabato 10 giugno 2017
Quando il giornale mi ha proposto di raccontare in una rubrica storie di imprese che stanno cercando di sviluppare la loro attività in modo diverso ero certo che sarebbe stato un viaggio intrigante. Da tempo anche nella formazione si cerca di dare spazio ai racconti, perché dentro all'autenticità di alcune storie si nascondo i fili di quella vita che tutti noi cerchiamo di capire e interpretare. Quello che non sapevo era quanta ricchezza ulteriore avrei incontrato grazie alle persone intervistate e alle loro realtà. Chi guarda l'impresa da fuori, qualunque essa sia, spesso usa lenti deformate da tanti pregiudizi, così che l'azienda talvolta appare soltanto come un luogo dove si patteggia il tempo lavorato con un giusto reddito, o un ambiente asettico dove vince la ricerca esasperata del profitto, da realizzare unicamente attraverso gli strumenti tipici dell'economia aziendale. Quando invece provi a guardarla con occhi diversi e incontri chi vi lavora in modo appassionato ti rendi conto che, come sosteneva Olivetti, l'impresa è una "comunità organizzata" dove le persone possono dare vita a un pezzo del loro futuro cercando un senso compiuto al vivere quotidiano e che spesso rappresenta per un imprenditore un progetto più grande che partecipa al bene comune della società.
Per scelta ho deciso di incontrare realtà di medie/grandi dimensioni che avessero i "conti a posto", perché se avessi fatto diversamente avrei reso un cattivo servizio a chi crede nell'etica come strategia d'impresa. E nel dialogare con loro ho lasciato che i racconti prendessero forma naturalmente, certo soltanto che i risultati positivi raggiunti fossero frutto di riflessioni e scelte che valeva la pena svelare. Ho provato ad arrivare a delle conclusioni in modo induttivo, seguendo il filo logico delle storie e lasciando che fossero i fatti a divenire il vero portato di questa esperienza. Così, rileggendo a distanza i 24 articoli mi rendo conto che hanno raccontato storie diverse ma accomunate tutte da un filo rosso che lega Arimondo, nata 300 anni fa, a Nau, poco più che adolescente, Assimoco, gruppo assicurativo della Milano che conta, a Gulliver, cooperativa che si occupa di disagio sociale.
Tutte realtà che vivendo ambiti diversi si muovono all'interno di strategie diverse ma ispirate da alcuni principi fondamentali affinchè il "sistema azienda" possa produrre un valore sostenibile. L'attenzione al capitale umano innanzitutto, alla persona nella sua complessità e sacralità: una cura che non si limita alla sensibilità personale ma si esplicita in azioni concrete e sistematiche, un processo quasi "educativo" sviluppato con metodo e umanità. Ne cito solo alcuni altri, tra i più significativi, come lo sviluppo di un "capitale" antico ma modernissimo, la fiducia, attraverso la costruzione di relazioni più trasparenti e autentiche. L'abate Genovesi, il fondatore nel 1700 della prima cattedra di economia, poneva la relazione fiduciaria al centro del funzionamento del sistema economico; non so quanti di loro ne conoscono l'opera, so bene però quanto le realtà incontrate investano in questa direzione e quanti risultati ne conseguono. E infine la certezza che l'impresa è un "bene sociale" in grado di creare valore economico proprio grazie alla sua capacità di oltrepassare i soli fini economici per realizzarne altri più grandi e più duraturi. Con questo articolo saluto anche i lettori della rubrica nella speranza che le storie raccontate siano divenute un piccolo "diario" di viaggio e che possano rimanere nel cuore di ciascuno a testimoniare che là dove c'è l'uomo e la sua umanità imperfetta c'è comunque sempre la possibilità di realizzare imprese che ne testimoniano nel tempo la sua grandezza.