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Storia di campi montani e di quattordici «spossessioni»

Sandro Lagomarsini martedì 1 novembre 2016
Quante agricolture si sono sviluppate in Italia? Uno sguardo alla conformazione della Penisola e delle Isole (quattro quinti i rilievi e un quinto le terre in piano) dovrebbe suggerire la risposta. Ma, a partire dai primi anni dell'Ottocento, economisti, storici e programmatori hanno puntato lo sguardo quasi esclusivamente sulle poche pianure italiane. Quanto ha influito, questa visione "strabica", sui miseri risultati della riforma agraria attuata negli anni 50 del secolo scorso? Ho visitato nel 1974 il villaggio-modello di Taccone, a Genzano di Lucania, completo di banca, chiesa e Poste nuove di zecca, ma disabitato.
Un insediamento rurale è fatto di reticoli economici e sociali che non si possono improvvisare, tanto meno in un ex-latifondo destinato alla coltura del grano. Migliori risultati si sono ottenuti quando si è prestata attenzione, con i Piani Verdi del 1961 e del 1966, alle economie agrarie delle valli e delle pendici montane. Si tratta di sistemi produttivi consolidati nel corso di centinaia di anni ed è possibile studiarli a partire dai documenti. È il caso della comunità di Porciorasco (Varese Ligure), la cui storia economica è condensata nell'archivio della famiglia De Paoli.
Originari della Corsica, i De Paoli si insediano alle pendici del Gottero alla fine del Cinquecento, occupando quella che era in origine una fondazione monastica. Lo rivela un edificio da sempre chiamato "foresteria" e il fatto che la vecchia chiesa dedicata a San Michele aveva l'entrata in direzione della casa-monastero. La politica della famiglia De Paoli segue la logica dei tempi. L'accaparramento delle terre avviene con acquisti dai contadini poveri o con cessioni fatte per estinguere debiti. La proprietà non si fraziona perché molti membri della famiglia seguono la carriera ecclesiastica, ma – complice la conformazione dei luoghi – non diventa un latifondo. Le "possessioni", affidate a "manenti" (mezzadri) o ad affittuari (con canoni molto bassi), sono collocate a diverse altitudini e le produzioni sono varie.
I fondi del palazzo hanno grandi botti e depositi in legno per il grano; sopra la vasta cucina sta l'essiccatoio per le castagne; ci sono i torchi per produrre l'olio di noci; in decine di graticci a rete si allevano i bachi da seta. Alla casa padronale arrivano anche i prodotti dell'allevamento: lana, salumi, formaggio. Di tutto questo i De Paoli fanno commercio. Due versi di Orazio, incisi agli inizi del Settecento sul portale del palazzo, dicono il programma familiare: "Parta labore quies / iterum paritura laborem" (Il benessere è frutto del lavoro e genera a sua volta nuova attività).
I De Paoli fanno buoni studi e curano una nutrita biblioteca, ma non si trasferiscono in città o nei Borghi vicini. Il sistema, è chiaro, assicura il preminente vantaggio della famiglia proprietaria. Ma i De Paoli legano a sé, in vari modi, la popolazione contadina. Nelle basse stagioni si possono fare giornate di lavoro nei laboratori interni al palazzo: una fucina attrezzata, una falegnameria, un desco per il calzolaio, telai per la tessitura. La stabilità delle famiglie mezzadrili dimostra che le condizioni di lavoro non sono le peggiori.
Nel 1804, quando la famiglia ha raggiunto la massima disponibilità economica, il parroco Giovanni De Paoli inizia la costruzione di una nuova chiesa e la completa in pochi anni. Disegna lui stesso il coro, i mobili della sacristia, i monumentali confessionali e realizza tutto con l'aiuto di un falegname locale. Angela Gotelli, deputata alla Costituente ed erede dei De Paoli, farà a Porciorasco la sua personale riforma agraria: le quattordici "possessioni" vengono da lei consegnate alle famiglie che da generazioni le lavorano.