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Stop ai razzisti e alla parole d’odio da ultimo stadio

Massimiliano Castellani domenica 29 gennaio 2023
«Le parole dell’o-dio par-tono dallo stadio e fuoriescono per le strade», ha detto tempo fa ad Avvenire la senatrice a vita Liliana Segre, la più bersagliata dagli antisemiti da ultimo stadio. In questo turno calcistico che arriva dopo il Giorno della Memoria, per noi prima della memoria di cuoio viene la Memoria della shoah e di tutti i genocidi che non devono essere mai dimenticati. Simon Wiesenthal, di cui abbiamo scritto su queste colonne, grazie allo struggente spettacolo che Remo Girone porta in scena (Il cacciatore di nazisti, stasera al Teatro Comunale di Carpi) è un ebreo che riuscì a salvarsi passando per ben cinque campi di concentramento e i nazisti appunto li ha cacciati per tutta la vita per consegnarli al tribunale dei crimini di guerra. Wiesenthal 1100 ne ha fatti condannare di quei colpevoli dell’Olocausto. Ronny Rosenthal, classe 1963, calciatore israeliano,
nell’estate Mondiale di Italia ’90 doveva passare dal Liegi all’Udinese, ma una sporca dozzina antisemita, pseudotifosi del club friulano, accolsero la notizia di mercato con scritte antisemite e minacce contro la società del presidente Pozzo nel caso avesse acquistato «lo sporco ebreo». Da allora gli episodi di antisemitismo si sono moltiplicati nei nostri stadi. Pensavamo, da illusi, che il fondo si fosse toccato nel 2017, quando altri pseudotifosi, laziali, avevano disseminato lo stadio Olimpico con delle figurine adesive in cui campeggiava l’immagine di Anna Frank con la maglia della Roma.
Un gesto emulato da più gruppi ultrà sparsi per lo Stivale, fino al triste epilogo di questi giorni: l’effigie murale di Adolf Hitler con la storica maglia della Roma dello scudetto 1982-’83. Un macabro omaggio per i 40 anni del tricolore della squadra giallorossa, architettato proprio nei giorni in cui si commemorano le vittime dei crimini hitleriani. Ci uniamo al commento sdegnato del sindaco di Roma Roberto Gualtieri: «Una vera infamia». A Roma, proprio sulla sponda giallorossa per fortuna da due anni vive e opera un uomo che divide et impera da sempre nel mondo del calcio, lo specialone Josè Mourinho. Ma va detto che don José da uomo intelligente («non sono un pirla» è il suo mantra fin dagli esordi sulla panchina dell’Inter) e sensibile qual è, contro i razzisti c’ha sempre messo la faccia. Giovedì 26 gennaio il profeta di Setùbal ha compiuto 60 anni e a parte i capelli grigi i suoi pensieri sono sempre verdi e in linea con la meglio gioventù romanista che deve far crescere per arrivare da qualche parte. Di tutti i ritratti letti sul genetliaco di Mou, il più centrato lo ha scritto Luca Valdisseri sul Corriere della Sera in cui giustamente lo definisce «il più moderno forse no, ma il più futurista di sicuro». Il futuro del calcio passa da queste menti creative come Mourinho che ai giovani mandano a dire che «chissà solo di calcio, non sa nulla». © riproduzione riservata