Una precisazione di metodo: ha ragione Antonio Spadaro, gesuita e scrittore, esperto di narrativa, a precisare, nel suo Svolta di respiro (Vita e pensiero) che «si ribaltano i parametri valutativi della “religiosità” di un’opera letteraria. Non sono i contenuti religiosi che la rendono tale. L’opera è religiosa se essa “stimola” nel lettore l’esperienza religiosa della trascendenza e della salvezza o il suo desiderio. Viceversa, un’opera può anche avere un soggetto “sacro”, ma se essa non apre il lettore alla dialettica della fede, allora sarebbe sterile, almeno da un punto di vista religioso».
Negli interventi che accompagneranno i lettori nei prossimi tre mesi, cercheremo di dar conto come, in quegli esempi particolari di opere letterarie che sono i romanzi, questa “esperienza” religiosa della “trascendenza”, della “salvezza” o del suo “desiderio” emergano dalle pagine di diversi autori. Con molta più frequenza e pregnanza di quella che una certa disattenzione critica perde di notare. Pur nel nostro tempo post-secolare, come qualche studioso lo ha definito, in cui il cristianesimo sarebbe stato «esculturato» dalla cultura predominante, secondo la sociologa francese Danièle Hervieu-Léger, la salvezza intesa come «riuscita definitiva della propria vita» (ancora Spadaro) resta un argomento centrale e frequentato anche da molti di quelli che inventano storie e creano personaggi.
© riproduzione riservata