Impresa bella e disperata, quella del professor Antonio Mutti (Università di Pavia), di studiare sociologicamente il lavoro dei servizi segreti, perché l'oggetto della ricerca è sfuggente quant'altri mai, e inaffidabile, perché, come insegnano libri e film polizieschi, lo spionaggio genera controspionaggio, e l'infiltrato può fare il doppio gioco quando non è triplo, per cui non sai mai di chi fidarti. Abbiamo infatti a che fare con la menzogna e mentre sulla menzogna, assicura il professore, c'è ampia bibliografia, sullo spionaggio c'è poco e nulla. Comunque, Antonio Mutti ha pubblicato un libro intitolato proprio
Spionaggio (il Mulino, pp. 128, euro 12) che, nonostante la foto di Mata Hari in copertina, non concede nulla agli appassionati di Hitchcock, perché tratta l'argomento dal punto di vista metodologico.È passato, anche se non del tutto, il tempo dell'agente segreto che pedinava le mosse del sorvegliato: oggi la tecnologia ha sviluppato forme prodigiose di sorveglianza a distanza, attraverso foto, video, intercettazioni telefoniche, internet, analisi biometriche, e soprattutto i controlli satellitari. Basti pensare a Echelon, il sistema di sorveglianza globale della comunicazione elettronica (telefono, fax, e-mail, traffico internet) organizzato fin dagli anni Sessanta, dai servizi segreti di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda.Un'altra difficoltà nell'esaminare «il lato oscuro della società» è che le ricerche si possono compiere quasi solo nei Paesi occidentali, dove la democrazia presto o tardi scopre e punisce gli abusi, mentre ben poco trapela dai Paesi ex sovietici, i cui servizi di intelligence sono notoriamente assai attivi.Il capitolo centrale, dedicato alle "Forme dello spiare", tratta partitamente dello spionaggio economico, politico, militare, e descrive alcuni fallimenti dell'intelligence: fra i più clamorosi, quello di credere alla presenza di armi di distruzione di massa nell'Iraq di Saddam Hussein, avendo sopravvalutato il rapporto della Commissione speciale dell'Onu che nel 1991, dopo la prima guerra del Golfo, aveva effettivamente costatato la presenza in Iraq di infrastrutture e programmi per produrre armi nucleari, chimiche e biologiche, ma l'intelligence non si era poi adeguatamente impegnata ad acquisire altre prove certe. Anche in merito alla catastrofe dell'11 settembre 2001, l'intelligence americana aveva sottovalutato la segnalazione di un agente dell'Fbi che aveva notato la presenza di presunti seguaci di bin Laden tra gli allievi delle scuole di volo dell'Arizona.Nell'ultimo capitolo sono inquadrati i problemi morali connessi allo spiare per ragioni di trasparenza, partendo dall'esempio di WikiLeaks che dal 14 dicembre 2010 mette in rete dispacci e stralci di rapporti delle ambasciate americane inviati ai segretari di Stato statunitensi tra il 1966 e il 2010. WikiLeaks possiede oltre duecentocinquantamila documenti, che pare siano stati forniti da un addetto militare americano critico nei confronti delle missioni in Afghanistan e Iraq. Mutti si chiede: ci troviamo di fronte a un genuino desiderio di verità o a uno scontro tra vecchi e nuovi media per la conquista dell'egemonia? WikiLeaks non è forse colluso con il potere economico che sta dietro ai cinque grandi gruppi mediatici cui ha concesso l'esclusiva della pubblicazione dei documenti? WikiLeaks e forse divenuto, consapevolmente o non, uno strumento di lotta interna ai servizi segreti? Difficili le risposte, ma è giusto, almeno, formulare le domande.