Speranza di vita, ignorato il clero
L'Istituto di previdenza (nota n. 28/22) ripercorre analiticamente le sue gestioni del settore pubblico e del settore privato (Assicurazione generale, Fondi sostitutivi e esclusivi, Gestione separata) confermando per tutte le assicurazioni l'età minima di 67 anni, inclusiva cioè della speranza di vita. Si fa eccezione per i lavori gravosi (66 anni e 7 mesi), per le pensioni "tutto contributivo" (64/71 anni), per le Quote 100 e 102 (62 e 63 anni), oltre al requisito specifico per i ballerini (47), i cantanti (62), gli attori (65) e gli sportivi professionisti (54).
Salta all'occhio come in così vasta e completa normativa l'Inps non dia alcuna indicazione sul Fondo di previdenza per il clero, malgrado l'Istituto abbia imposto anche ai ministri di culto un aumento dell'età per la vecchiaia da 68 anni a 69 anni. Anche risalendo al decreto originario sulla speranza (78/2010) non si trovano riferimenti alla categoria. È intuibile il motivo: i 68 anni per i ministri di culto (in vigore sin dal 2003) sono già superiori ai 67 anni imposti alla generalità degli assicurati. Un primato che durerà, si calcola, fino al 2030.
Di fatto, l'Istituto di previdenza adotta, nel caso della speranza di vita, una sua discutibile interpretazione che include il Fondo Clero fra tutte le gestioni previdenziali anche in assenza di indicazioni del legislatore. Tuttavia se tale criterio può motivare l'attuale silenzio sul Fondo, non spiega però l'atteggiamento dell'Inps che nega ai ministri di culto i trattamenti previsti per la generalità delle gestioni come Quota 100 e ora Quota 102, insieme al cumulo dei contributi, ai riscatti ecc.