SPERANZA
dall'immensa raccolta di testi papali, bensì con una semplice ma folgorante battuta di un'opera teatrale di Karol Wojtyla, La bottega dell'orefice. È una riflessione sulla virtù più delicata - non per nulla si ricorre come simbolo, per descriverla, al verde dei germogli -, la speranza. Essa ha quasi la funzione di collegamento con le altre due virtù teologali: è alimentata dalla fede che, come dice la Lettera agli Ebrei, è «fondamento delle cose che si sperano» (11, 1), e fiorisce nell'amore. Ma lo scrittore Wojtyla ci ricorda che in essa permane il fremito della paura. La speranza, infatti, non è ancora pienezza, è attesa, ed è per questo che vibra anche di timore. Ma è curioso il parallelo che il Papa introduce: anche la paura non è mai priva di un seme di speranza. Tant'è vero che è stato coniato - sulla base di una frase di Cicerone ( Dum anima est, spes est) - il proverbio che «fin che c'è vita, c'è speranza». Basta solo il soffio dell'esistere, anche nell'incubo più atroce, per continuare ad attendere una luce e una sorpresa di pace. In ogni tempo, perciò, è necessario alimentare in noi il respiro della speranza, soprattutto quando la paura sembra prevalere. «La speranza è un rischio da correre. Anzi, è il rischio dei rischi» (G. Bernanos, in La libertà perché?).