Il 25 ottobre di ventidue anni fa tornava alle nuvole Adolph Green, paroliere di Broadway. Aveva 87 anni e ci ha lasciato in eredità gratuita i testi di centinaia di canzoni. Una in particolare, incollata per sempre alla pelle dell’umanità. Si intitola Singin’ in the rain, e la fischiettava Gene Kelly nel musical omonimo mentre, appunto, cantava e ballava sotto la pioggia. Dietro il testo di quella canzone, solo apparentemente leggero, c’è un mondo di valori. L’ottimismo, l’allegria, il coraggio di affrontare le difficoltà senza cedere alla rabbia e al lamento. «Cantando sotto la pioggia: che sensazione meravigliosa, mi sento di nuovo felice. Sorrido alle nuvole, così cupe su di me. Ho il sole nel cuore e sono pronto ad amare. Che le nuvole si scontrino l’una contro l’altra. Forza pioggia, ho il sorriso stampato in faccia e scenderò per questa strada con un ritornello allegro, cantando sotto la pioggia…». Ecco, si può morire dimenticati, si può morire cercando di restare fino all’ultimo sulla scena, e si può anche morire senza che quasi nessuno conosca il tuo nome, ma con la sensazione che si verrà ricordati. Adolph Green è uno di questi ultimi, perché ci ha lasciato parole semplici. E un insegnamento: che se tutti avessero il sole nel cuore, e cantassero invece di deprimersi, le nuvole non ci sarebbero più. O almeno non sarebbero così scure.
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