Sorprende scoprire che la democrazia può essere esportata anche con la forza
Sorprendono indirettamente anche gli scritti di Giovanni Sartori (scomparso nel 2017) ripubblicati dal "Corriere" (il 21/8): la democrazia è esportabile, «ma non dappertutto e non sempre». Citava, Sartori, i casi di Germania e Italia, soprattutto di Giappone e India. L'ostacolo più significativo, per il politologo, sono le religioni monoteiste. Perbacco, pure il cristianesimo? Sartori in effetti parlava solo dell'Islam, che «a livello di massa è rigido, sclerotizzato, e cioè manca di flessibilità, adattabilità e capacità di risposte creative». Pure Sabino Cassese ("Corriere", 23/8) sostiene l'esportabilità della democrazia, appellandosi all'Onu a partire dal «riconoscimento universale del diritto dei popoli alla democrazia». Esportabile anche con la forza degli eserciti? Cassese non lo afferma in modo esplicito. Sembra essere favorevole solo alla forza dell'Onu, come in Bosnia 1992-1995. E conclude: «Più democrazia vuol dire un mondo più pacifico». Da parte sua Ezio Mauro ("Repubblica", 30/8), dalla posizione più sfumata, chiama in causa l'Europa e «un patto da rinegoziare con l'America». Quanto ai modi, non scioglie l'interrogativo: «Come accettare che eguaglianza e libertà siano confinati in una sola zona del mondo?». Già, come?