Sono senza eredi Giudici e Zanzotto, due tra i maggiori poeti del '900?
Difficile immaginare due poeti più diversi. Nella loro opera si sono pienamente manifestate e divaricate le due tendenze fondamentali della nostra poesia novecentesca: l'autobiografia teatralizzata in Giudici, l'autoanalisi dell'io lirico in Zanzotto. Giudici, poeta "relazionale", confessionale, realistico, prevalentemente prosastico, veniva da Saba, Gozzano, Machado, Puškin: sentiva il bisogno di appoggiarsi su istituzioni stilistiche e metriche, morali e politiche, la sua "musa umile" gli imponeva di non abbandonare né la Chiesa cattolica né il Partito comunista italiano (e qui l'aggettivo "italiano" conta molto).
Zanzotto veniva dalla poesia pura e assoluta, dall'ermetismo, dal surrealismo, da Ungaretti, Lorca, Eluard, Hölderlin: visse la poesia come veicolo di estasi e di patologie da analizzare con tutta la scienza di cui era capace. Giudici è stato un sociologo di se stesso: dipendente della Olivetti, uomo medio con le sue "impiegatizie frustrazioni" e le sue fughe erotiche. Zanzotto scavò nelle stratificazioni ecologiche e storiche del suo paesaggio, mescolando geologia e biologia, lingua letteraria e dialetto.
Sono stati forse i poeti tecnicamente più abili e sorprendenti del Novecento, e oggi non hanno eredi.