Fu in una farmacia dalle parti di piazzale Loreto, un pomeriggio d'inverno. Erano mesi che speravo. Lacerai la busta che il dottore mi aveva dato, saltai le righe cercando soltanto una parola: "Positivo". Rimasi un lungo istante immobile, il foglio nelle mani. "Positivo". Che tonfo al cuore, che inabissarsi del battito, e subito il suo risalire, affannato. Aspettavo un bambino. Trafelata cercai una cabina telefonica, ne trovai una occupata. Impaziente, in un bar, pregai di fare una chiamata urgente. Anche la voce di ragazzo di mio marito tacque, ascoltando: come misurando in un momento il peso e la profondità di quelle poche parole. Aspettiamo un figlio. Ancora sbalordita mi affacciai sul traffico convulso di corso Buenos Aires, le auto ferme in colonna, i clacson nervosi. Il semaforo era rosso, ma io, abituata a girare per Milano di corsa, disinvolta stavo per attraversare. Mi fermai di colpo. Non puoi, mi dissi, devi stare attenta: siete in due, ora. Camminare più adagio, felice e pensierosa, immensamente stupita. Ci sei tu adesso, e da quale mondo sei arrivato? Che occhi avrai, e come ti chiameremo, o forse il tuo nome è già scritto in un altro cielo, da sempre? Era la fine di gennaio, ma a me sembrò di avvertire, nell'aria di quell'imbrunire freddo, già un altro tiepido fiato.