Solo se tu sei «ok» posso esserlo anch'io
Benedetto XVI, nel 2007, celebrando la Messa a Castelgandolfo, disse che «tutta la storia umana è una lotta tra due amori: l'amore di Dio fino al dono di sé e l'amore di sé fino al disprezzo di Dio, fino all'odio degli altri... Vale soltanto vivere la vita per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere. Vale solo il consumo, l'egoismo, il divertimento. Questa è la vita». E noi sappiamo che davvero è così, e che forse, anzi, questo egoismo dominante s'è trasformato in qualcosa di peggio, ossia in un vero e proprio consegnare le regole della convivenza alla loro forma patologica. L'«io sono ok, tu sei ok» non è più riconosciuta come la condizione a cui tendere ma come un'anomalia, un ostacolo al nostro interesse. È questa purtroppo la tendenza oggi, e ciò, come ha chiesto papa Francesco in una recente intervista, richiede non distanza ma, al contrario, di essere «vicino ai problemi, vicino alle persone». Parlava della crisi creata dal Covid, ma non solo. Perché se da ogni crisi si può uscire «migliori o peggiori», per scongiurare l'andare a fondo «la parola chiave è "vicinanza"». Nella Chiesa, così come nella politica e in tutti gli ambiti, la classe dirigenziale «non ha diritto di dire "io"... deve dire "noi" e cercare una unità di fronte alla crisi. Un politico, un pastore, un cristiano, un cattolico anche un vescovo, un sacerdote, che non ha la capacità di dire "noi" invece di "io" non è all'altezza della situazione».
Passare dall'io al noi vuol dire, allora, tornare a pensare al plurale, a capire che il nostro interesse personale è che tutti stiano bene, che non ci si senta rivali ma fratelli. Capire che «amerai il prossimo tuo come te stesso» è non solo per i cristiani ma per tutti la vera chiave della convivenza. Dove il prossimo, come ha spiegato Bergoglio nel novembre 2018, «è la persona che io incontro nel cammino, nelle mie giornate». Farsi incontro, vicini, senza cercare scuse per evitarlo, per smarcarsi dicendo “questo è più grande di me”. Non ci sono scuse, perché «l'affamato ha bisogno non solo di un piatto di minestra, ma anche di un sorriso, di essere ascoltato». E, per chi crede, «anche di una preghiera, magari fatta insieme». Una preghiera non fa mai male, anche per rilanciare corrette relazioni sociali. Veramente umane.