Social: CasaPound, Hitler e una sfida non per tifosi
I neofascisti esultano. E così molte persone di estrema destra. Convinti come sono che ormai la convivenza civile sia una sfida tra tifoserie. Esultano due volte. La prima perché ieri il gip di Siena ha deciso che nel tweet su Hitler del professor Emanuele Castrucci (per il quale la procura aveva chiesto il sequestro del profilo social) «non c'è odio razziale». Quindi non si può bloccare l'account del professore. Resta da capire, visto che Castrucci nel frattempo è stato sospeso dall'insegnamento universitario, cosa deciderà in merito il collegio di disciplina dell'Università di Siena.
A farli esultare una secondo volta (e molto di più) è il fatto che il Tribunale Civile di Roma ha accolto il ricorso di Casapound contro Facebook e ha ordinato la riattivazione della pagina social del movimento neofascista, chiusa il 9 settembre scorso, obbligando il colosso americano a pagare 800 euro per ogni giorno di violazione e al pagamento di 15 mila euro di spese legali. Per la cronaca, si tratta di un'ordinanza cautelare, quindi non
definitiva, e che con grande probabilità sarà impugnata dai legali di Facebook.
Ci sono tanti elementi degni di nota in questa doppia vicenda. Allargando lo sguardo dai casi personali a un panorama più generale, colpisce che il Tribunale di Roma nel ricorso di CasaPound contro Facebook sottolinei che il social network ha una funzione di «media pubblico». Perché «se anche non è equiparabile ad un organo di stampa, non può rivestire il mero ruolo di intermediario tra gli utenti privati e la piattaforma». E qui si apre un capitolo importante: perché se i social sono equiparati ai media, allora dovrebbero sottostare a tutte le regole dei mass media. Dovrebbero, per esempio, avere un responsabile legale dei contenuti e essere ritenuti responsabili per tutto ciò che viene diffuso al loro interno, compresa la pubblicità che ospitano. Se accadesse, probabilmente i social chiuderebbero il giorno dopo, tanta è la mole di commenti e di pubblicità che ospitano ogni giorno e quante le forze che dovrebbero mettere in campo per vagliarli.
Mentre Roberto Fiore adesso chiede pari trattamento per Forza Nuova, altra organizzazione neofascista bloccata a settembre da Facebook e Instagram, vale la pena di ricordare il motivo per cui fu bloccata insieme a CasaPound: «Non è ammesso (su Facebook e Instagram) chi diffonde odio o attacca gli altri sulla base di chi sono. Candidati e partiti politici devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia».
Come scrivemmo allora, era ed è difficile non concordare con la prima parte della motivazione di Facebook & Co. («Non è ammesso chi diffonde odio sul social») ma la seconda parte («...o attacca gli altri sulla base di chi sono») nascondeva e nasconde possibili derive potenzialmente molto pericolose.
C'è poi un aspetto "politico" della questione. Per il tribunale di Roma «l'evidente rilievo preminente assunto da Facebook (e da altri social network ad esso collegati)» è tale «che il soggetto che non è presente lì è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano». Quindi «ne deriva che il rapporto tra Facebook e l'utente non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto Facebook, ricopre una speciale posizione». Per questo il social di Zuckerberg «deve strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finché non si dimostri la loro violazione da parte dell'utente». Come?
«Con accertamento da compiere attraverso una fase a cognizione piena». Cioè, attraverso un giudice.
L'ultima parola, quindi, sull'«odio online» l'avrà (o almeno dovrebbe averla) il tribunale. O i tribunali visto che Facebook è presente in quasi tutto il mondo. Siete così sicuri che Facebook starà a guardare? E siete così sicuri che tutto questo si possa affrontare come una sfida tra fazioni?