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Smartphone anti-Alzheimer?

Paolo Benanti giovedì 7 luglio 2022
I ricercatori dell'Università di San Diego, in California, hanno annunciato di aver sviluppato un software in grado di rilevare, mediante lo smartphone, l'insorgenza precoce di malattie come l'Alzheimer. L'applicazione per lo smartphone – al momento in cui scriviamo, in grado di girare solo su un modello di telefono – esamina la pupilla di un paziente utilizzando la fotocamera del dispositivo.
Questo uso avanzato della fotocamera non è nuovo: già lo scorso anno Google aveva mostrato alla Conferenza per sviluppatori I/O 2021 un software in grado di riconoscere problematiche della pelle semplicemente fotografando parti del corpo da analizzare tramite Intelligenza Artificiale. E ancora prima sempre Google aveva reso la fotocamera dello smartphone in grado di riconoscere la retinopatia diabetica.
L'idea di fondo in questo caso è quella di utilizzare gli occhi ritenendo che siano una metrica per rilevare l'Alzheimer, e in particolare la pupilla. In un'intervista con l'autorevole rivista The Verge, specializzata in tecnologie e cultura digitale, i ricercatori guidati dal professor Edward Wang hanno spiegato come una registrazione della risposta a compiti specifici consente di analizzare con il loro software i disturbi cognitivi in base al modo in cui la pupilla reagisce ad alcuni comandi. Il prodigio si ottiene con un'alchimia di alcuni componenti: le fotocamere dotate di raggi infrarossi, sfruttate dagli smartphone per lo sblocco facciale del dispositivo, che consente di rilevare la differenza tra il colore degli occhi e la pupilla rispetto a un sensore standard; i dati di numerose letture in altri pazienti; infine, sofisticati algoritmi di machine learning. Senz'altro questa innovazione, come le precedenti, può permettere molte più diagnosi, anche in luoghi remoti del mondo, e rendere le cure precoci più efficaci e, forse, anche economiche.
Quello che ci chiediamo è che cosa significhi questo per il nostro vedere: una capacità fatta non solo della sensibilità alla luce ma anche del percepire, cioè di un'abilità nel riconoscere quanto visto. Già le telecamere ci hanno mostrato che una macchina può vedere più lontano dell'uomo. Dobbiamo arrenderci al fatto che un computer comprenda meglio di noi quello che vede? Cosa rimane del nostro essere sicuri di ciò che abbiamo visto? Anche in questo caso il prodigio della macchina ci fa interrogare sul mistero che siamo.