Per chi non lo sapesse il mitico personaggio di Frankenstein si deve alla penna di una diciannovenne londinese, Mary Shelley (1797-1851), che lo concepì per noia in una fredda e piovosa estate del 1816. Si racconta, infatti, che la giovane donzella, in vacanza con il marito Percy e altre persone tra cui il poeta Lord Byron, fosse costretta in casa da una pioggia incessante e che, per passare il tempo, si fosse messa a fare con gli altri il gioco di scrivere un racconto del terrore. A Mary venne in mente l'ipotetica rianimazione dei morti. L'idea, però, non veniva dalla sua fantasia, bensì dalla cronaca. Lo scienziato pazzo del suo romanzo, che avrebbe dato vita a Frankenstein, esisteva davvero, era un bolognese, si chiamava Giovanni Aldini, insegnava fisica, era nipote di Luigi Galvani, e sosteneva la possibilità di rianimare i cadaveri tramite corrente elettrica. Il primo esperimento fallì e lui si ritrovò su tutti i giornali così come ora si ritrova nel primo episodio della nuova serie Il mio nome è leggenda, da ieri sera in onda su Sky Arte il lunedì alle 21,15. La serie, grazie alle parole e alla narrazione dell'attrice Matilda De Angelis, esplora le storie vere di illustri sconosciuti dai quali sono nati alcuni dei personaggi più noti dell'immaginario collettivo. La De Angelis, bolognese anche lei come Aldini, come la produzione (la Bottega Finzioni) e l'ambientazione (il Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo), se la cava piuttosto bene, pur essendo alla prima esperienza come narratrice in un programma televisivo interessante, ma anche molto raccontato (il secondo episodio, quello su Betty Boop, ancora più del primo). Per il resto ci si appoggia alle poche immagini di repertorio, ai tanti spezzoni di film e al commento di esperti come il massmediologo Roberto Grandi.