Skal, vita da eroe: dal sisma di Haiti ai campi dorati Nba
Joseph Campbell era un saggista e uno storico delle religioni americano. Ispirandosi a Jung e alle figure archetipiche che, secondo lo psicologo svizzero, sono collocate nell'inconscio collettivo, scrisse nel 1949 un libro destinato a cambiare il futuro della narrazione. La sua intuizione fu di identificare quegli archetipi che stanno alla base di tutti i miti e grandi storie della letteratura, del cinema, del teatro. Il libro si intitola Il viaggio dell'eroe e ha influenzato generazioni intere di scrittori, drammaturghi e registi, tra i quali George Lucas, autore della saga "Star Wars".
Campbell identifica varie fasi attraverso le quali passano, quasi inevitabilmente, le vite degli eroi, in carne e ossa, mitologici o letterari. L'eroe ha una nascita misteriosa, una grande difficoltà iniziale da superare, una fase liminare (una specie di ritiro dalla società dove apprende una lezione, molto spesso aiutato da un mentore) e infine un ritorno (eroico, appunto) alla società stessa.
Più volte, qui, ho sostenuto la tesi che lo sport rappresenti l'epica dei nostri giorni. Gli eroi sportivi rappresentano oggi il nuovo versante della narrazione mitologica. Proprio come nella storia di Skal Labissiere, giocatore di basket Nba, rookie (esordiente nel campionato professionistico) scelto come numero 28 dai Sacramento Kings. Il ragazzone è alto 211 centimetri ed è nato il 18 marzo 1996 a Port of Prince, capitale di Haiti. Quattro giorni fa ha festeggiato il suo ventunesimo compleanno, un numero di primavere che, apparentemente, sembrerebbero ancora poche per primeggiare in un campionato così straordinariamente complicato.
Tuttavia Skal le più grosse complicazioni della sua vita le ha risolte il pomeriggio del 12 gennaio 2010, quando un catastrofico terremoto sconvolse la sua isola, causando 230.000 morti. Skal Labissiere, aveva 14 anni, un sogno grande nel cuore e un canestro in giardino. Quel canestro gli salvò la vita: «Eravamo in auto con mio padre, stavamo tornando a casa dopo l'allenamento e lui vide che il canestro artigianale che avevamo montato sul retro della casa aveva il ferro incrinato. Non so per quale motivo, ma decise di non entrare subito, ma di restare fuori a metterlo a posto. È stata la nostra salvezza».
Skal pensò a lungo al suo canestro arrugginito e alla Nba nelle tre ore che trascorse sotto le macerie, finché il padre, risparmiato dai crolli perché in giardino a sistemare quell'anello di ferro, lo tirò fuori. Giovedì scorso, ottantasei mesi dopo quel pomeriggio e due giorni prima del suo compleanno, ha portato i suoi Kings alla vittoria contro i Phoenix Suns, acchiappando 11 rimbalzi e segnando 32 punti, tra cui tutti gli ultimi 16 della sua squadra. Del terremoto dice: «È stata un'esperienza terribile, ma una volta superata, è stato più facile per me raggiungere gli Stati Uniti e l'Università di Kentucky, dove ho incontrato colui che ha cambiato la mia vita: coach John Calipari».
Già, il viaggio dell'eroe: il suo venire al mondo nell'isola misteriosa, la grande difficoltà superata, il mentore e il ritorno trionfale. C'è tutto. Un altro regalo dello sport al mondo, l'ennesima prova della sua capacità di ispirarci. «Ho un sacco di buoni motivi per guardare al futuro – chiude Skal Labissiere – nella vita come sul campo da basket. E non voglio più dare nulla per scontato». Centro. Anzi, canestro.