Il decreto-legge con cui è stata fissata la data delle elezioni europee contiene anche altre norme che sono state appena sfiorate dalle cronache e che invece toccano aspetti molto delicati della vita democratica. Ci si riferisce in particolare alle nuove regole sul numero dei mandati dei sindaci nei piccoli Comuni. In sintesi, nei centri sopra i 5mila abitanti e fino ai 15mila, i sindaci potranno svolgere fino a tre mandati consecutivi rispetto agli attuali due. Per i centri fino ai 5mila abitanti non viene previsto alcun limite. Le dimensioni dei Comuni non devono trarre in inganno. Le nuove norme interessano una parte cospicua del nostro Paese. Su poco meno di 8mila Comuni, quelli che non superano i 15mila abitanti sono oltre 7mila, per un totale di quasi 24 milioni di persone. I centri che non vanno oltre i 5 mila abitanti, vale a dire quelli in cui non vige più alcun limite per la rielezione dei sindaci, sono oltre il 70% del totale, corrispondenti a quasi 10 milioni di abitanti.
Il tema della durata temporale delle cariche è cruciale in una democrazia, soprattutto quando investe le funzioni di governo. Non a caso se n’è discusso nel dibattito sul premierato e in chiave critica, dato che in origine il progetto dell’esecutivo non prevedeva un limite di durata per il presidente del consiglio eletto direttamente. Limite ora indicato in due mandati come per i presidenti delle Regioni e i sindaci dei Comuni più grandi. Ma proprio tra i “governatori” in carica è forte la richiesta di poter svolgere un terzo mandato, come pure tra i sindaci delle maggiori città.
La materia è oggetto di un confronto politico insidioso che vede in campo sia i partiti che i singoli personaggi. Tuttavia le ragioni delle norme finora in vigore sono profonde e robuste. Le ha ribadite più volte la Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n.60 dello scorso anno. La Consulta, citando ripetutamente anche Cassazione e Consiglio di Stato, ha affermato che il limite dei mandati per i sindaci «è stato pensato quale temperamento “di sistema” rispetto alla contestuale introduzione della loro elezione diretta» e che «la previsione di un tale limite si presenta quale punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva: sistema che può produrre effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione». E ciò appare vero – ha sottolineato ancora la Corte costituzionale – «soprattutto nei livelli di governo locale, data la prossimità tra l’eletto e la comunità, onde il rischio di una sorta di regime da parte del primo in caso di successione reiterata nelle funzioni di governo nell’ambito di quest’ultima».
L’intervento sul numero dei mandati nei Comuni più piccoli non è irragionevole. La relazione che accompagna il decreto-legge rileva con realismo che in tali centri «risulta di fatto spesso problematico individuare candidature per la carica di primo cittadino» e la presenza di limiti alla rielezione «comporta rilevanti criticità». Eppure, è proprio nei Comuni di minore dimensione che i gravi rischi paventati dalla Consulta possono concretizzarsi più facilmente. Forse servirebbe un supplemento di riflessione.
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