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Siate pronti Il Graal arriverà ma voi saprete riconoscerlo?

Cesare Cavalleri mercoledì 8 aprile 2020
Fra i libri immortali, La cerca del Graal ha un posto di capostipite, essendo stata scritta prima del 1200, ricapitolando tradizioni, leggende e liturgie celtiche insieme a liturgie della Chiesa. Come autore, la Cerca viene di solito attribuita a Chrétien de Troyes (1130–1391), ma fra gli indiziati vi è anche Robert de Boron, suo coevo. Nelle ultime righe del libro viene fatto il nome di Gautier Map (1140–1210) che avrebbe scritto in latino le gesta dei cavalieri, fatte poi tradurre in francese da Enrico II d’Inghilterra, ma pare trattarsi di attribuzione fittizia, tanto che qualcuno ha parlato di uno Pseudo–Gautier Map. Non c’è da sorprendersi: le grandi opere spesso sono di autore ignoto, e perfino l’esistenza storica di Omero è messa in dubbio. La Cerca è un libro di avventure, e i protagonisti sono Galaad, Lancillotto, Parsifal, Galvano, Bohort, a ciascuno dei quali sono dedicati uno o due capitoli, ma le loro gesta si intrecciano in tutto il libro anche per i loro legami di parentela. Galaad, per esempio, è il figlio che Lancillotto ha avuto dalla figlia del re Pellés, il Re Pescatore, anche se egli è da sempre innamorato della regina Ginevra, moglie del Re Artù. Proprio questo legame adulterino impedirà a Lancillotto di accedere al Santo Graal, nonostante che un venerabile eremita, dopo averlo confessato e assolto, gli abbia imposto per penitenza un cilicio che il cavaliere indosserà per sei mesi. Strana la religiosità dei cavalieri. Ogni mattina, prima di lanciarsi nelle loro imprese, ascoltano la Messa: propriamente “ascoltano”, perché non si comunicano se non dopo la confessione, e si viene a sapere, per esempio, che Galvano non si confessava da quattro anni. E sarà la propensione alla lussuria a impedire che Lancillotto riconosca il Graal quando gli passerà accanto, trovando il cavaliere in uno strano stato di dormiveglia. Arriveranno al Graal solo tre personaggi: Parsifal, Bohort e Galaad. I primi due sono casti ma non vergini: Parsifal, infatti, stava per cedere alle lusinghe della Dama della Terra Desolata, e Bohort aveva avuto un figlio. Soltanto Galaad era vergine, e per questo poté vedere le meraviglie del Santo Graal, felice di morire per entrare nel regno spirituale che lo attendeva. Parsifal indosserà l’abito religioso e morirà un anno e tre giorni dopo l’amico Galaad; Bohort, invece, preferirà ritornare alla corte del Re Artù. Ma che cos’era il Graal? Era il piatto, o il calice, usato da Gesù nell’ultima cena, ma non è propriamente un oggetto: emanava una grande luce e, propriamente, era il simbolo della Grazia. In una digressione biblica, verso la fine del libro, viene rievocato il peccato originale, attribuendolo alla lussuria dei progenitori; invece è un peccato ben più grave, un peccato di superbia: «Sarete come Dio», insinua il serpente nella tentazione di Eva. Si capisce dunque perché i cavalieri tengano tanto in conto la purezza: è giusto, ma c’è anche ben altro, compresi gli eccessi di difesa (per così dire) che negli scontri provocano la morte dell’avversario. Nonostante le riserve “teologiche” La Cerca del Graal è un romanzo avvincente, in cui il narratore è il racconto stesso, secondo un procedimento caro a Borges, che amava presentare le sue storie come storie di storie altrui.