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Siamo italiani dalla sfuggente identità, cosa saremo con la globalizzazione?

Alfonso Berardinelli sabato 21 luglio 2012
«Mi sono accorto tardi di essere italiano. E avevo più di trent'anni quando ho capito che questo era un problema». Uso questa autocitazione (è l'incipit del mio Autoritratto italiano, 1998) per spiegare un passaggio d'epoca. Negli anni '60 e '70 si parlava solo di borghesia e cultura borghese, di capitalismo e neocapitalismo, di sistema e rivoluzione: come se ognuna di queste realtà e idee fosse la stessa cosa in tutti i paesi dell'Occidente. Una sociologia marxista geometrizzante costruiva allora i suoi teoremi cancellando identità e storia dei diversi Paesi. Dall'inizio degli anni '80 si fu costretti a cambiare ottica. L'Italia esisteva: non era la Francia, né la Germania, l'Inghilterra o gli Stati Uniti. Le minuziose autoanalisi nazionali di Piero Gobetti e Antonio Gramsci, prima dimenticate, tornavano utili, insieme a uno dei testi da allora in poi più ripubblicati e commentati: il leopardiano Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani.Ora sono già trent'anni che si parla ininterrottamente della nostra lampante e sfuggente identità e dei problemi che ci crea, dei problemi che siamo noi italiani a crearci e che superano spesso la nostra capacità di risolverli. Su questo la bibliografia è diventata enorme, ma il libro di Michele Rossi Una sola moltitudine. Saggio sull'identità italiana (Rubbettino) ha trovato il coraggio di affrontarla cercando di mettere ordine. Marino Biondi, nella sua introduzione, parla di un probabile “effetto Erasmus” che potrebbe allontanare i più giovani dall'interesse per la nostra storia nazionale. Se così fosse, questo bilancio di Michele Rossi chiuderebbe un'epoca in cui gli italiani si sono sentiti di nuovo italiani, trovando che questo era un problema: era il nostro primo problema.Ma che cosa saranno gli italiani globalizzati e “liquidi” del futuro? Forse saranno come i giapponesi nati in Brasile, gli scandinavi nati negli Usa, i tedeschi nati in Canada? Sì e no. Il globale non abolisce il locale: lo cambia e ne è cambiato.