Intorno c'è un mondo cattivo che uccide, violenta, imbroglia. Ma anche nel piccolo quotidiano, l'energumeno in macchina che minaccia di tagliarti la gola dopo averti tagliato la strada, gli sciacalli da tastiera, i vandali seriali. Ascolti le voci di chi non ci sta, ma non sa come opporsi, o non ne ha più il sentimento. E allora si rifugia in parole che non risolvono: «Di questo passo, dove andremo a finire? E lo Stato, dov'è?...». Questo senti dire, e ti viene da pensare che arrendersi non significa sempre essere deboli: a volte significa essere abbastanza forti da lasciar perdere. Ma anche che non è giusto farlo sempre. Lo Stato poi è l'eterno alibi di questo Paese, ed è anche per questo che è così latitante il concetto di responsabilità personale. E invece solamente a quella dovremmo aggrapparci. Provando ogni tanto a ricordarci che i buoni siamo noi, anche se ci tocca dimostrarlo. E che se avessimo la forza di contarci, capiremmo che siamo di più. Più dei corrotti, più dei cattivi, dei mafiosi, dei terroristi, degli odiatori. Siamo di più, e solo per questo dovremmo trovare il coraggio di non nasconderci. Pensiamoci quando, inesorabilmente, ci capiterà di imbatterci nel prossimo sopruso: non accettarlo con rassegnata stanchezza sarà un utile segnale del fatto che siamo ancora, orgogliosamente, vivi.