La stagione del Covid ha funzionato come una sorta di “apocalisse”, cioè di rivelazione su diversi aspetti del nostro vivere: il rispetto dei fragili, il rapporto con il creato, l’approccio alla comunità… Papa Francesco, nella sua memorabile Statio Orbis del 27 marzo, consegnò al mondo parole che restano scolpite come appello e come monito ancor validi oggi: «Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».
Qualche tempo fa è stato pubblicato un romanzo, La ragione del male (Lindau), dello scrittore catalano Rafael Argullol, in cui una città sprofonda in una malattia pervasiva e inspiegabile, che rende esamine di volontà e azione chi ne viene contagiato. Un male che, secondo l’autore, richiama a una dimensione più profonda: «Gli esanimi sono stati la fase terminale di qualcosa che già ci portavamo dentro allegramente, convinti di essere del tutto sani. Ma poi, quando il male si è manifestato in tutta la sua crudezza, lo abbiamo ribaltato. E lo abbiamo lasciato agire come una calamita».
Questa assonanza tra un romanzo del 1993, l’avvento del covid e l’appello di papa Francesco concordano su un punto: siamo sicuri di essere persone “a posto” in un mondo in cui dilaga la violenza, la guerra la fa da padrone e la povertà attanaglia ancora milioni e milioni di persone?
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