Da alcuni decenni si parla, con preoccupazione, del diffondersi di una “cultura di morte”, che già Giovanni Paolo II nella enciclica Evangelium vitae segnalava denunciando una «congiura contro la vita», specialmente a danno degli esseri umani più fragili. Si tratta, in particolare, di un modo di pensare, di agire, di esistere che mette in discussione il valore della vita umana, la considera in senso strumentale, in base alla qualità di essa e agli interessi socio-economici, e con ciò valutandone le condizioni per il rispetto e la tutela.
In tale prospettiva, la morte viene spesso intesa come la soluzione ai problemi, le difficoltà, le sofferenze che si incontrano nell’esistenza umana. Anche il Messaggio della Conferenza episcopale italiana per la Giornata per la Vita 2023, domenica prossima, riconosce questa tendenza «di morte» cercando di stimolare risposte a essa secondo una «cultura di vita», attiva e creativa, verso ogni vita umana. Promuovere, diffondere, educare a una cultura della vita significa coinvolgere tutti, specialmente le nuove generazioni, nella capacità di apprezzare e amare la vita. Anzitutto ciò implica la capacità di stupirsi di fronte all’esistenza, propria, degli altri e dell’intero creato: la meraviglia della vita in sé, prima ancora delle sue caratteristiche, qualità, possibilità. Riconoscerla come dono, che chiede accoglienza, rispetto, cura, come qualcosa che rimane insondabile e divino, non del tutto spiegabile e misurabile, quantificabile, “monetizzabile”. È da incoraggiare una cultura che sappia abbracciare tutti gli esseri viventi, favorendo le condizioni ambientali, sociali ed economiche per il rispetto della vita umana, del suo intrinseco valore, e il rispetto dell’intera creazione. Cioè una cultura orientata a una ecologia integrale che riconosce e tutela la vita, pur accettando i limiti e le fragilità dell’umano e della creazione.
Tutto ciò diventa responsabilità, impegno e speranza per affrontare le “prove della vita”, le difficoltà e i problemi anche gravi che possono presentarsi: una gravidanza indesiderata, un concepito che nascerà disabile, una malattia debilitante e inguaribile, una sofferenza dovuta a ingiustizie, povertà. La sfida è superare la tentazione della morte come soluzione dei problemi, invocando una libertà individuale assolutizzata, senza riferimenti alla relazione con gli altri e senza speranza: così l’aborto, il suicidio assistito, l’abbandono di chi “non serve più”, la rimozione delle persone sofferenti. Papa Francesco ricorda che si va verso una cultura dello scarto: «Ti uso finché mi servi; quando non mi servi più o mi sei di ostacolo, ti butto via. Si trattano così specialmente i più fragili: i bambini non ancora nati, gli anziani, i bisognosi e gli svantaggiati... ciascuno è un dono sacro, ciascuno è un dono unico, a ogni età e in ogni condizione. Rispettiamo e promuoviamo la vita sempre! Non scartiamo la vita!» (Angelus, 29 gennaio 2023).
Cancelliere
Pontificia Accademia per la Vita
© riproduzione riservata