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Shaharzad fa cantare le ragazze afghane

Antonella Mariani giovedì 18 marzo 2021

Nel suo account twitter si presenta come Presidente della Commissione indipendente per i diritti umani e mamma. E poi quelle parole: «Credo nell'Afghanistan». Shaharzad Akbar ha 34 anni e lunedì ha festeggiato una piccola grande vittoria: il ministero dell'Istruzione ha annullato la lettera del Provveditorato agli studi di Kabul che pochi giorni prima aveva stabilito il divieto per le ragazze sopra i 12 anni di cantare in pubblico. Un provvedimento assurdo, in un Paese che sta faticosamente e lentamente cercando di lasciarsi alle spalle il regime liberticida dei taleban e con esso l'apartheid femminile.

Shaharzad e decine di altre donne hanno reagito all'imposizione pubblicando sulle piattaforme dei social network video in cui cantano, suonano e ballano. Il grido di battaglia è stato l'hastagh #IAmMySong, io sono la mia canzone, e la protesta si è diffusa in tutto l'Afghanistan, convincendo il ministero dell'Istruzione a sconfessare il provvedimento emanato dal direttore del Dipartimento della capitale, in cui si chiedeva «a tutte le scuole pubbliche e private di vietare alle studentesse maggiori di 12 anni di esibirsi in cori musicali in qualsiasi cerimonia ed evento pubblico». Il canto può distrarre dagli studi, spiegava il provveditorato (vale solo per le femmine?) ma la risposta del ministero è stata che ciò «non riflette la politica e la posizione ufficiale del governo».

Shaharzad Akbar - Twitter

Una vittoria simbolica di libertà per le donne afghane, ottenuta con una mobilitazione sui social media di migliaia di loro. Shaharzad Akbar ha sottolineato che «le donne che cantano fanno parte della nostra cultura: ricordo quando da bambina andavo al villaggio e le vedevo ballare, cantare e suonare strumenti ai matrimoni».

Shaharzad è uno dei volti più conosciuti dell'impegno per la partecipazione a pieno titolo delle donne nella società afghana. Prima di presiedere la Commissione indipendente per i diritti umani, che ha sede principale a Kabul e 8 uffici regionali e 6 provinciali in tutto il Paese, è stata consigliera presidenziale, giornalista per la Bbc, fondatrice del movimento giovanile Afghanistan 1400 e attivista per altre organizzazioni. L'amore per il suo Paese è cresciuto nell'esilio: durante il regime dei taleban, Shaharzad ha vissuto con la famiglia da nomade, trasferendosi di villaggio in villaggio per sfuggire alle violenze e infine da rifugiata in Pakistan. Ha studiato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, fino a compiere la scelta di rientrare in Afghanistan per mettersi al servizio della ricostruzione del suo Paese, della pace e di una società più inclusiva.

Lei è una giovane donna sorridente, all'apparenza calma e impassibile davanti alle segnalazioni di violazioni dei diritti umani e abusi che arrivano ogni giorno alla sua scrivania, ma in realtà battagliera e determinata. Il rischio è alto: nonostante il processo di pace in corso, i gruppi estremisti spadroneggiano nelle periferie delle città, nei villaggi. E a farne le spese spesso sono le donne. L'8 marzo il Dipartimento di Stato americano ha attribuito il Premio di donna coraggiosa dell'anno alla memoria di 7 afghane uccise nel 2020: giornaliste, attiviste, operatrici sanitarie. Tra loro c'è anche Fatima Natasha Khalil, morta lo scorso giugno a 24 anni mentre era in missione per la Commissione indipendente per i diritti umani.

«Credeva profondamente nell'eguaglianza di genere e nell'importanza della partecipazione della donne alla ricostruzione dell'Afghanistan», dice di lei Shaharzad Akbar. «La piangiamo ogni giorno e siamo impegnati a onorare la sua memoria promuovendo i diritti umani di tutti gli afghani». Compreso quello di cantare in pubblico.